La finanza globale trema, la situazione

Per certi versi è stata paragonata a quella del 2008. La crisi del comparto finanziario, dovuta al fallimento o al collasso di alcuni importati istituti di credito, statunitensi e non solo, ha preoccupato il mondo intero, a tal punto che sei banche centrali si sono accordate per attuare un meccanismo d’emergenza finalizzato a rassicurare gli investitori sul fatto che le banche fossero solide e non ci sarebbe stata una crisi di liquidità. Lo stesso meccanismo che fu attuato, per esempio, anche all’inizio del 2020 quando, con lo scoppio della pandemia, era molto alto il rischio di una crisi finanziaria mondiale. Tutto è partito il 9 marzo con la bancarotta di Silvergate Capital, una delle prime banche legate al mondo delle criptovalute. L’istituto ha precisato di essere in difficoltà poiché, da quando è fallito l’exchange cripto FTX, ha dovuto gestire più di 8 miliardi di dollari di prelievi dai suoi depositanti, arrivando ad essere in perdita di 1 miliardi di dollari. Il giorno dopo, 10 marzo, è avvenuto il fallimento lampo della Silicon Valley Bank (Svb), che ha portato negli Stati Uniti a una “corsa agli sportelli” da parte dei clienti per portare via i soldi dai propri conti correnti. La Svb era stata fondata nel 1983 a Santa Clara, in California, fino a diventare la sedicesima maggiore banca degli Usa (secondo l’ultimo report del dicembre 2022 possedeva 209 miliardi di dollari di attività totali) e fortemente improntata sul fornire servizi a società e persone legate al settore della tecnologia. La sua crisi ha origine nel 2021, quando iniziarono i primi trasferimenti di valori mobiliari dai buoni del tesoro statunitense a breve termine verso quelli a lungo termine. Gradualmente il valore di mercato di queste obbligazioni è sceso, di pari passo con l’aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve nell’ultimo anno. L’aumento dei tassi ha comportato l’aumento dei costi dei prestiti in ogni campo dell’economia; alcuni clienti hanno iniziato dunque a prelevare il proprio denaro per assicurarsi una certa liquidità mentre la Federal Reserv ha individuato alcune carenze nelle procedure di gestione del rischio, individuando parecchie criticità. L’atteggiamento si è diffuso sempre di più tra i depositanti, fino al marzo scorso. L’8 marzo, Svb ha annunciato che, per poter soddisfare le richieste di tutti coloro che pretendevano liquidità, avrebbe venduto oltre 21 miliardi di valori mobiliari, preso in prestito 15 miliardi di dollari e per ottenere più di 2 miliardi di dollari di cui necessitava avrebbe indetto una vendita di emergenza di una parte delle sue azioni. Una situazione che ha scatenato il panico all’interno del comparto bancario, al punto che i clienti sono arrivati a ritirare in breve tempo 42 miliardi di dollari. Il 10 marzo il California Departmente of Fiancancial Protection ad Innovation ha deciso il sequestro di Svb, che è stata quindi posta sotto il controllo della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC, che assicura diversi istituti bancari), che a sua volta ha ottenuto poteri straordinari dal Tesoro e ha cercato di mettere all’asta tutta o parte della banca; anche Eleon Musk ha fatto un’offerta via Twitter. Lo scopo era quello di tranquillizzare i depositanti non assicurati – ossia coloro che avevano depositi superiori al limite garantito da FDIC – con proventi che sarebbero derivati proprio dalla vendita degli attivi della banca, senza quindi che fossero utilizzati fondi dei contribuenti. 

La finanza globale trema, la situazione

La finanza globale trema – Il sistema USA in crisi, il collasso di Silvergate, Silicon Valley e Signature Bank 

Il 26 marzo, dopo settimane di trattative, la FDIC ha annunciato che First Citizens BancShares  (una holding bancaria con sede in North Carolina, che rientra tra le 20 maggiori banche statunitensi) avrebbe acquistato il giro d’affari commerciale bancario di Svb. Il fallimento della Svb in pochi giorni ha avuto conseguenze pesanti per le startup negli Usa e in altri Paesi, ma anche per molte grandi società del comparto tecnologico e della commutazione, ed è stato considerato il più grande fallimento di una banca statunitense dalla crisi del 2008 e il secondo più grande fallimento di una banca assicurata dalla FDIC. Sempre dall’ultimo report del dicembre 2022 è emerso infatti che l’89% dei depostiti non fosse assicurato. Nel frattempo, il 12 marzo, Signature Bank – altro istituto operativo nello sviluppo delle criptovalute, con sede a New York e attività di circa 110 miliardi di dollari – è stata chiusa dalle autorità di regolamentazione statali con la rassicurazione che tutti i depositanti sarebbero stati risarciti. Secondo i calcoli degli esperti complessivamente le banche statunitensi hanno perso oltre 267 miliardi di dollari durante la crisi di Svb. Oltre a Silicon Valley Bank, Silvergate Capital Corp e Signature Bank, altri sette istituti hanno sofferto perdite per oltre il 20%. I mercati azionari di tutto il mondo, da Wall Street a Tokyo fino a Piazza Affari, hanno risentito della crisi statunitense con cali a doppia cifra, dovuti al contesto di profonda crisi di fiducia da parte degli investitori. La situazione ha allarmato gli istituti centrali, tanto che il 19 marzo sei banche centrali – la Federal Reserve statunitense, la Banca Centrale Europea, la Banca d’Inghilterra, la Banca del Giappone, la Banca del Canada e la Banca Centrale svizzera – hanno annunciato in un comunicato congiunto l’attivazione di una serie di meccanismi coordinati entrati in funzione il giorno seguente per fornire liquidità d’emergenza in dollari al sistema bancario internazionale.

La finanza globale trema – L’Eurozona, cede Credit Suisse, colosso svizzero

Alla crisi delle banche americane è strettamente connesso il fallimento dell’istituto svizzero Credit Suisse, considerata da molti analisti la più grande vittima della crisi di fiducia nel settore bancario scatenata dalla situazione precedentemente illustrata negli Stati Uniti. L’istituto svizzero, fondamentale per l’industrializzazione del Paese e arrivato ad essere un colosso internazionale, negli ultimi tre anni è stato coinvolto in una serie di scandali (per esempio le multe per corruzione nel 2021, la fuga di dati e il riciclaggio di denaro nel 2022) e risultati non positivi che hanno indebolito la sua reputazione sia a livello internazionale, sia a livello nazionale. Nel febbraio 2023 si sono registrati deflussi sempre più pesanti da parte dei clienti, sebbene la tendenza si fosse sviluppata già a partire dall’anno precedente. A febbraio, appunto, i deflussi sono saliti a oltre 110 miliardi di franchi e la banca ha subito la più grande perdita annuale, di conseguenza – dopo la pubblicazione dei risultati – le azioni sono scese del 15%. A inizio marzo la banca ha pubblicato il suo report annuale, ammettendo di avere “debolezze sostanziali” nei suoi controlli finanziari e ha annunciato di sospendere i bonus a favore dei consiglieri di amministrazione. Uno scossone giunto mentre i mercati iniziavano a subire le prime conseguenze dovute al crack delle banche americane.

La finanza globale trema, la situazione

Il 17 marzo Credit Suisse ha chiuso la settimana con deflussi giornalieri di circa 10 miliardi di dollari. Il giorno seguente la banca ha fatto sapere che, insieme al controllore finanziario svizzero FINMA, stava pensando all’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS al fine di non far crollare il sistema finanziario del Paese. Il 19 marzo UBS ha rilevato Credit Suisse per 3 miliardi di franchi svizzeri e ha accettato fino a 5 miliardi di franchi di perdite. Il salvataggio è stato possibile grazie al fatto che la Banca Centrale svizzera ha messo a disposizione della UBS l’equivalente di 100 miliardi di euro per far fronte a eventuali perdite di Credit Suisse. Centosessantasette anni di storia giunti, per Credit Suisse, giunti così al termine. Il primo trimestre dell’anno ci ha dimostrato ancora una volta quanto la finanza globale sia vulnerabile: l’equilibrio tra fiducia e sfiducia sui mercati dei capitali è molto labile e il rischio di una nuova crisi globale, come quella del 2008, non è così remoto. Questa volta le ripercussioni a livello globale sono state in un certo senso limitate grazie al fatto che le banche americane e quella svizzera, protagoniste della crisi, erano meno interconnesse al resto del mondo rispetto a quanto lo fosse Lehman Brothers: la società attiva nei servizi finanziari globali che fallì nel 2008.

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