L’Italia vira a destra, nasce il governo Meloni

Gli italiani hanno deciso: il centrodestra ha vinto le elezioni, Fratelli d’Italia è il partito più votato e Giorgia Meloni è la prima donna che si appresta a diventare presidente del Consiglio. Le prime elezioni post-pandemia dunque rispettano le previsioni: premiano la destra e confermano la crisi della sinistra. La coalizione formata da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi Moderati conquista la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Un successo dovuto al partito di Giorgia Meloni che – da solo –  raggiunge il 26,01% al Senato e il 25,99% alla Camera. Cifra, quest’ultima, che l’intera coalizione di centrosinistra riesce ad ottenere al Senato. Percentuale leggermente più alta invece alla Camera: è al 26.13%. Sono 112 dunque i seggi al Senato che vanno al centrodestra, 39 al centrosinistra. È quanto emerge dai dati del Viminale. Al M5S ne vanno 28, 9 ad Azione-Italia Viva e 1 a De Luca sindaco d’Italia. Duecentotrentacinque, invece, i seggi conquistati dal centrodestra alla Camera. Secondo i dati diffusi dal Viminale, la coalizione di centrosinistra avrà 80 seggi, il Movimento 5 Stelle 51, il Terzo Polo 21. Tre seggi vanno alla Sudtiroler Volkspartei e uno a De Luca sindaco d’Italia.

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Ritratto della prima donna a Palazzo Chigi

Nasce a Roma nord nel 1977, ma cresce a Garbatella, quartiere sud della Capitale dove vive l’infanzia e l’adolescenza insieme alla madre Anna e alla sorella Arianna. Il padre abbandona la famiglia quando Giorgia ha solo 12 anni. Una maturità linguistica conseguita con Sessanta quando era il voto più alto. A 15 anni l’esordio in politica con l’adesione al Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale ItalianoDestra Nazionale. Giornalista professionista dal 2006, nello stesso anno viene eletta alla Camera dei deputati nella lista di Alleanza Nazionale, divenendo la più giovane parlamentare della XV Legislatura. Ha solo 26 anni. Nel 2008 la nomina a ministro per la gioventù del governo Berlusconi IV.

La scalata Meloni

Era il 2012 quando dalla dissoluzione del Popolo della Libertà nasceva Fratelli d’Italia, il partito fondato da una giovane Giorgia Meloni insieme ad Ignazio La Russa e a Guido Crosetto. Alla prima prova elettorale, un anno dopo la nascita del partito, ottengono solo l’1,96% e conquistano nove seggi alla Camera, nessuno al Senato. Alle Europee del 2014 Fratelli d’Italia si ferma al 3,7%, non raggiungendo lo sbarramento del 4%. Meloni non viene eletta, come non viene eletta nemmeno a sindaco di Roma due anni dopo, nel 2016. Arriva solo terza, anche se con un buon risultato. Alle politiche del 2018, Fratelli d’Italia ottiene solo il 4,3%. Dal 4% al 26% in poco più di 4 anni. Da un partito che sembrava avere vita breve a più votato in soli 10 anni. Si possono avanzare molte ipotesi su come abbia fatto. Innegabile che sia una professionista della politica, ne mastica fin da ragazza. Premiata probabilmente anche la coerenza: quello di Meloni è stato l’unico partito che è restato all’opposizione, fuori dal governo di coalizione guidato da Mario Draghi.

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Il primo discorso della futura premier

Dopo le due e trenta del mattino di lunedì la vincitrice delle elezioni tiene il suo primo discorso, che di fatto è stato il discorso della vittoria.  Accolta da grandi applausi, sale sul palco, introdotta dalla canzone di Rino Gaetano “Ma il cielo è sempre più blu”.  Lamenta una “campagna elettorale violenta, “che abbiamo subito” afferma, poi spiega che la situazione ora “richiede un rispetto reciproco”.  Lascia dunque intendere che cercherà di dialogare con tutti perché, dice, l’Italia e l’Europa stanno andando incontro a una situazione particolarmente complessa “che richiede il contributo di tutti, un clima sereno, quel rispetto reciproco che è alla base del confronto di qualsiasi sistema democratico”. Rammaricata per l’alta astensione, ringrazia gli alleati, i familiari e “gli italiani che non hanno creduto alle menzogne e alle mistificazioni”. “Ci hanno dato per spacciati da quando siamo nati, ma non abbiamo mollato” prosegue. Un discorso dai torni tranquilli, che chiude citando San Francesco: “Tu comincia a fare quello che è necessario, poi quello che è possibile e alla fine ti scoprirai a fare l’impossibile”.

Gli alleati di Meloni

La coalizione di centrodestra ha vinto. Ma come ne escono gli alleati di Meloni da queste elezioni? Lega: ormai svanita l’idea di una Lega alla conquista del sud, sempre più in affanno le roccaforti del nord. Per il leader Matteo Salvini si apre una fase difficile. Si ritrova ben al di sotto del minimo sindacale. La soglia psicologica del 10% appare lontana, poco più dell’8% sia alla Camera che al Senato, ben al di sotto delle aspettative e lontanissimo dal 34% ottenuto alle Europee del 2019. La sua leadership potrebbe essere messa seriamente in discussione. Ha avuto però un ruolo fondamentale nella caduta del governo Draghi e nel ricorso alle elezioni anticipate e questo dovrebbe garantirgli un riconoscimento da parte di Giorgia Meloni. Probabilmente però non abbastanza da assicurargli la guida del Viminale. Forza Italia: Berlusconi ha pilotato il suo partito nell’alleanza vincente ottenendo più dell’8 %. Ora potrebbe avvantaggiarsi della crisi della Lega e provare a giocare la carta dell’ago della bilancia al Senato, ma dovrà darsi da fare per evitare la tentazione dei suoi eletti di cercare un riparo più solido per il futuro, sotto l’ala di Giorgia Meloni.

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Vincitori e vinti. Gli altri partiti

Partito democratico: la rimonta contro il centrodestra sperata da Enrico Letta non c’è stata. È lui infatti il grande sconfitto di queste elezioni. Il Partito democratico delude e resta sotto il 20%. Inarrivabile il risultato della principale competitor, Giorgia Meloni. Non ha fatto sufficiente presa chiamare gli elettori al duello contro la leader di Fratelli d’Italia sull’antifascismo, sui diritti civili, sull’ambiente. Tutte scelte condivise con il gruppo dirigente, che tuttavia non hanno fatto breccia negli elettori. Letta non è riuscito ad invertire la sensazione del Paese di un finale già scritto, diventata concreta quando è crollata l’idea originale del segretario di mettere insieme un campo largo di forze, indispensabile con una legge elettorale che premia le coalizioni più unite. Prima lo strappo con Giuseppe Conte, poi la decisione di Carlo Calenda di rompere il patto appena sottoscritto.

Movimento Cinque Stelle: dati per spacciati dopo l’addio di Luigi Di Maio e dei suoi fedelissimi, i Cinque stelle passano dal “rischio estinzione” al “recupero” grazie al rilancio del reddito di cittadinanza. Il movimento di Giuseppe Conte dunque va meglio del previsto.  Fa un pieno di voti al sud e si posiziona al terzo posto come partito attestandosi oltre il 15%. È vero che nel 2018 il Movimento guidato da Di Maio raggiunse il 32% ma poi era precipitato nei sondaggi. L’approccio fortemente populista di Conte è stato evidentemente premiato.  Il movimento diventa il vero terzo polo, mentre Luigi Di Maio uscirà dal Parlamento, dopo il disastroso 0,6% ottenuto dal suo Impegno civico.

Azione e Italia Viva: il cosiddetto “Terzo Polo” non è riuscito a decollare. Carlo Calenda aveva spiegato che un risultato non a doppia cifra sarebbe stato un insuccesso. Matteo Renzi si faceva bastare anche una cifra inferiore. Così è stato. Ottengono quasi l’8% che consente un’agibilità politica e manovre parlamentari. Qualche voto probabilmente soffiato a Forza Italia, ma soprattutto hanno contribuito ad azzoppare l’alleanza di centrosinistra a guida Pd, che aveva abbandonato dopo la scelta di Enrico Letta di stringere un patto con la sinistra di Nicola Fratoianni.  Ora però che il colpo grosso non è riuscito non sarà facile affrontare il secondo tempo della partita, quella che si giocherà in Parlamento.

Sempre meno votanti

Da segnalare il dato dell’astensione: è il più basso di sempre. Domenica ha votato il 63,91% degli aventi diritto. Le code ai seggi – con molta probabilità – erano dovute al tagliandino antifrode introdotto in questa tornata elettorale perché se c’è un dato che spicca su tutti è proprio quello dell’astensionismo.  Circa 4 milioni e mezzo di cittadini hanno deciso di disertare le urne. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, meno del 70% degli aventi diritto è andato a votare per le elezioni Politiche. Oltre nove punti in meno rispetto al 2018. Prima di quella data, l’affluenza era sempre stata sopra l’80%. Per superare il 90%, invece, bisogna tornare al 1979. La Regione che ha votato di meno è la Calabria, crolla di 13 punti, dal 63,74 al 50,74%. Da tempo l’astensionismo viene definito “il primo partito del paese”, e ciò è innegabile da un punto di vista numerico, ma attribuirlo prevalentemente alla protesta nei confronti della politica è riduttivo perché c’è anche un’altra ragione e si chiama “astensionismo involontario”. Si tratta di un fenomeno rappresentato dalle persone che hanno difficoltà di mobilità (4,2 milioni al di sopra dei 65 anni) e da coloro che per ragioni di lavoro o di studio nel giorno del voto si trovano lontani dal Comune di residenza, circa 4,9 milioni di elettori. Un problema destinato ad aumentare, tenuto conto delle tendenze demografiche nonché delle dinamiche sociali che da tempo evidenziano una crescente mobilità dei cittadini. Problema di cui tutti parlano, ma che anche questa volta è stato ignorato.

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Le prossime tappe

I tempi per la nascita di un nuovo governo non saranno rapidissimi. Terminato lo spoglio e assegnati tutti i collegi, dal 10 ottobre gli eletti cominceranno a registrarsi in Parlamento. La prima seduta delle nuove Camere è fissata per il 13 ottobre. In quell’occasione saranno eletti i presidenti di Camera e di Senato. Il 15 ottobre scadono i termini entro i quali i parlamentari dovranno comunicare il loro gruppo di appartenenza. Dal 24 ottobre, poi, potrebbero partire le consultazioni attraverso le quali il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affiderà l’incarico di formare il nuovo governo. Dureranno 2 o 3 giorni. Se l’incaricato, o l’incaricata, scioglie la riserva, presenterà la lista dei ministri al Quirinale. A quel punto, il nuovo governo è pronto a giurare nelle mani di Mattarella.

Le sfide del nuovo governo vedi Verderami sul corriere

Adesso bisogna “gestire la vittoria” ha detto Ignazio La Russa, ribadendo che “Giorgia lo sa”.  Ma come la gestirà? Il primo esame che Meloni deve affrontare è quello di immaginare una compagine governativa di qualità, poi bisognerà pensare al Pnrr. La prossima tranche del Pnrr vale circa 19 miliardi di euro e sarà compito del nuovo esecutivo ottenerla. Il funzionamento è semplice, almeno sulla carta. Per ricevere i soldi bisogna completare le riforme e raggiungere i target quantitativi concordati. Per i fondi della terza tranche andranno raggiunti 55 obiettivi, tra cui 16 target quantitativi entro il 31 dicembre di quest’anno. Tra gli obiettivi ci sono il completamento della legge annuale per la concorrenza, alcuni atti delegati per il completamento della riforma della giustizia civile e penale, la creazione della nuova Agenzia nazionale per la sicurezza informatica, l’entrata in vigore delle riforme del sistema di istruzione primaria e secondaria per migliorare i risultati scolastici. Ci riuscirà il nuovo governo? Ancora presto per dirlo. Quello che però è certo è che l’ex premier Mario Draghi era profondamente stimato a Bruxelles e nelle cancellerie europee. Senza dimenticare che l’Italia torna ad essere “sorvegliata speciale” a causa del suo altissimo debito pubblico.

Regionali in Sicilia, vince Schifani

I siciliani sono stati chiamati alle urne anche per scegliere il prossimo presidente della Regione, che sarà Renato Schifani. L’ex presidente del Senato, sostenuto dall’interno centrodestra, ha vinto con oltre il 40% dei voti.  Nella Sicilia dove, come già cinque anni fa, ha votato meno di un elettore su due Schifani si inserierà a Palazzo d’Orleans, sulla poltrona lasciata da Nello Musumeci. In vantaggio sul secondo, Cateno De Luca, sostenuto dal suo movimento. Solo terza la candidata del PD, Caterina Chinnici, figlia di Rocco Chinnici, capo del pool antimafia ucciso nel 1983. Insomma, anche le regionali in Sicilia confermano la vittoria della destra. Un’Italia che da oggi sarà sempre più blu…

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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