Una Norimberga per Putin?

La bestiale invasione russa dell’Ucraina ha riacceso i riflettori su un tema che sembrava dimenticato, quello di pensare ad un nuovo “Processo di Norimberga” per giudicare i crimini di guerra di Vladimir Putin (e dei suoi accoliti). Per quanto possa apparire irriverente l’accostamento alla tragedia in atto ci viene in soccorso un classico di Hollywood, Vincitori e vinti (Judgment at Nuremberg, 1961), scritto da Abby Mann e prodotto e diretto da Stanley Kramer. Dal 1945 al 1946, a Norimberga (Germania), si svolsero i processi ai grandi criminali di guerra nazisti (Goering, Hess, Ribbentrop, von Papen, Seyss-Inquart). La maggior parte fu condannata a morte o internata a vita. Nel 1947, furono gli “esecutori” a doversi presentare davanti al tribunale militare americano, e in particolare i giudici che attuarono le orribili leggi del Terzo Reich, tra cui la segregazione razziale e la sterilizzazione dei disabili mentali. Vincitori e vinti, apparso in piena “guerra fredda” nel 1961 – quando i criminali nazisti erano stati in gran parte liberati (e alcuni furono ingaggiati dal governo americano nella sua lotta contro il comunismo) – ripercorre questo complesso evento con sottigliezza e maestria cinematografica. Una superba lezione di storia che non sconfina mai nell’ideologia. Vincitori e vinti è chiaramente fiction, ma ispirata a fatti realmente accaduti, al punto che il film a volte sconfina nel documentaristico, in particolare proponendo materiale d’archivio – dai campi di concentramento alle immagini di Norimberga devastata dai bombardamenti – o processi storici rivisitati, come quello di Katzenberger (1942), in cui un anziano uomo ebreo venne condannato a morte per una presunta relazione sessuale con una giovane ragazza ariana (la legge nazista proibiva qualsiasi contatto tra “razze”). Il film ritorna sul quel “processo dei giudici”, che condannò all’ergastolo i magistrati che esercitarono sotto il regime del Terzo ReichBurt Lancaster interpreta qui uno dei quattro imputati, Ernst Janning, nel film uno degli estensori della costituzione della Repubblica di Weimar e poi Ministro della Giustizia di Adolf HitlerSpencer Tracy, un magistrato americano, un uomo anziano, messo al bando dai suoi elettori, e che il suo governo ha richiamato dal suo ritiro provinciale per portarlo in questo tribunale; Richard Widmark, il virulento avvocato dell’accusa; Maximilian Schell (“politicamente” premiato con l’Oscar come miglior attore protagonista), l’avvocato tedesco della difesa.

Una Norimberga per Putin?

Le domande poste dal film, attualissime, sono ancora oggi dibattute. Gli esecutori erano responsabili delle atrocità naziste quanto i loro superiori? Sarebbe stato possibile per loro ribellarsi al governo “legittimo” del loro paese? A queste domande si affiancano interrogativi filosofici quando si tratta di giudicare i giudici, come spiega l’avvocato difensore: «Il giudice non fa le leggi, esegue le leggi del suo paese». Cosa si intende per giustizia? Un individuo deve agire in base alla propria coscienza, o nel rispetto delle leggi stabilite dalle autorità politiche di un paese, qualunque sia la loro natura sbagliata? Se la risposta data dal film non trasmette alcuna ambiguità – condanna senza appello degli imputati in un sublime intervento di undici minuti del giudice americano («Chiunque si renda complice di un delitto è colpevole») – Vincitori e vinti non è certo un film manicheo nel quale collocare ordinatamente buoni e i cattivi. Il legittimo dubbio che invade il giudice man mano che il processo procede, anche perché decide di confrontarsi e ascoltare le ragioni di alcuni osservatori tedeschi, l’uso spettacolare di immagini atroci da parte dell’avvocato dell’accusa accecato nella sua obiettività, la complessità del personaggio di Ernst Janning, afflitto dal senso di colpa, sono tutti elementi che riflettono l’impossibilità di esprimere un giudizio chiaro e provano l’imperfezione della giustizia umana. E infatti la condanna non è unilaterale. Quando Stanley Kramer girò Vincitori e vinti, in netta contrapposizione fra Est e Ovest, aveva una prospettiva storica sufficiente per cogliere che la situazione della Germania del 1948 non poteva essere ridotta a una “semplice” guerra giusta vinta da coloro che detengono la legge e la verità contro un manipolo di criminali. Anche le mani degli americani erano macchiate di sangue: un personaggio evoca Nagasaki e Hiroshima, così come vengono mostrate le immagini delle città tedesche devastate dai micidiali bombardamenti che non risparmiarono la popolazione innocente. Ma la vicenda personale del produttore/regista lo ha indubbiamente spinto ad andare oltre nel ragionamento: di origine ebraica, Stanley Kramer si era forse pentito della sua partecipazione all’HUAC (House Un-American Activities Committee), che portò alla condanna del suo socio Carl Foreman nella lista nera a Hollywood per le sue “attività comuniste”. In Vincitori e vinti, molti intermezzi del processo mostrano gli americani preoccupati per l’avanzata dei sovietici nell’Europa dell’Est (la Cecoslovacchia fu invasa nel 1948) e desiderosi della collaborazione della popolazione tedesca, lasciando intendere che sarebbe stato bene giudicare velocemente i criminali nazisti e “dimenticare”: la realpolitik non sempre si nutre di giustizia…

Una Norimberga per Putin?

Affascinante è anche l’interminabile dibattito sulla colpevolezza della popolazione tedesca: quando Spencer Tracy interroga i domestici della casa che occupa o Madame Berthold (Marlene Dietrich), questi affermano di non aver visto nulla, nulla di noto, un leitmotiv scioccante che li fa sentire in colpa perché, come afferma Ernst Janning in un discorso molto incisivo, il problema non è tanto che i tedeschi non sapessero, ma che non volessero sapere. È tuttavia l’avvocato difensore tedesco ad argomentare con acuta intelligenza: se l’intera popolazione tedesca è colpevole, lo è anche il mondo intero per la sua politica di non intervento e atteggiamento attendista. Francia, Stati Uniti, URSS, Gran Bretagna sapevano – un discorso coraggioso se si considera che nel 1961 nessuna delle grandi potenze vittoriose voleva sentire tali accuse. Ma per i tedeschi era anche necessario “dimenticare” per salvare la propria dignità, mantenere la solidarietà nazionale per preservare una parvenza di paese, che Stanley Kramer mostra in una superba scena di una birreria, dove la popolazione intona in coro una canzone alzando i boccali, mentre cinque minuti prima il tribunale militare ha mostrato le terribili immagini della liberazione dei campi di Dachau e Bergen-Belsen…Ma Vincitori e vinti non è solo una magistrale lezione di storia, è anche un esempio di maestria cinematografica. Montaggio nervoso, inquadrature ad effetto (bruschi zoom sui primi piani e sullo sfondo che mostrano i personaggi in azione) e la mobilità della macchina da presa permettono di rimediare alle difficoltà insite nella evidente staticità della sala dibattimentale. Gli effetti cinematografici concepiti dalla sceneggiatura – suspense, contrasti, emozioni esacerbate… –, arricchiscono sottilmente la forza del discorso politico. La presenza delle star non fu estranea al successo del progetto e al suo aspetto cupamente funebre: lo è per quattro di loro – Montgomery Clift, Spencer Tracy, Judy Garland, che moriranno rispettivamente nel 1966, 1967 e 1969, e Marlene Dietrich – in una delle loro ultime apparizioni cinematografiche. Marlene in particolare illumina il film con la sua presenza carismatica, al suono della sua famosa canzone Lili Marleen, in un ruolo personalmente difficile per lei che nella realtà combatté con l’esercito americano contro il proprio paese. Un’opera come questa pone facili interrogativi sul presente: una volta accertata la responsabilità russa, e le atrocità commesse, quale dovrà essere l’atto di “giustizia” che permetterà di voltare pagina?

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Il narcotraffico e l’arrivo del fentanyl, la nuova droga che spaventa il mondo. Anabel Hernández, giornalista e scrittrice messicana, nota per le sue inchieste sui trafficanti e sulla presunta collusione tra funzionari del governo degli Stati Uniti e i signori della droga, ha analizzato la questione con un approfondimento in apertura. A seguire, Alessandro Di Battista è tornato sulla questione ucraino-russa, mentre Luca Sommi (new entry e giornalista del Fatto Quotidiano) ha presentato il suo nuovo libro “La più bella, perché difendere la Costituzione”. All’interno anche Line-up, Un Podcast per capello, Ultima fila e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Alessandro De Dilectis, Riccardo Cotumaccio, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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