Un gelido inverno, la guerra va avanti

*il 3/12 sul N. 3 della rivista il Millimetro

“La probabilità di una vittoria militare ucraina che cacci via tutti i russi dal Paese, inclusa la Crimea, è molto bassa. L’inverno potrebbe essere una buona finestra per negoziare la pace”. Chi, negli ultimi mesi, ha osato pronunciare parole simili è stato ingiuriato e trattato da collaborazionista del Cremlino. Eppure queste parole le ha pronunciate alcuni giorni fa Mark Milley, capo di Stato maggiore dell’esercito USA. Nel maggio scorso Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, espresse concetti diversi: “L’Ucraina deve vincere questa guerra perché difende il suo territorio. I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea. Ci siamo inoltre sempre opposti al controllo russo su parti del Donbass nell’Ucraina orientale”. Ieri la Nato invocava la sconfitta militare russa, oggi il Pentagono apre, seppur timidamente, ad una soluzione politica. “Negoziare la pace” per l’appunto. Cosa è accaduto in questi mesi? La guerra è andata avanti. Kiev ha ricevuto quantitativi massicci di armamenti dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla maggior parte dei paesi Nato. Il Cremlino ha lanciato una mobilitazione parziale che è in procinto di concludersi. Sono arrivati, e continuano ad arrivare, migliaia di soldati russi al fronte. Kiev ha riconquistato territori perduti grazie ad una contro-offensiva che le è costata molte perdite. I russi si sono ritirati da diversi territori a sud di Charkiv e dalla città di Cherson. C’è chi ha esultato per questo sostenendo che la sconfitta russa fosse imminente e chi ha ricordato che ritiri e ripiegamenti fanno parte delle strategie militari e, purtroppo, caratterizzano le guerre di lunga durata. Basti guardare d’altro canto la storia militare russa per rendersene conto. Napoleone entrò a Mosca ed occupò il Cremlino. Vinse a Smolensk e a Borodino (seppure perdendo migliaia di uomini) ma non ottenne mai quella vittoria campale che cercava per poter trattare con lo Zar. Poi, durante il ritorno in Francia, l’esercito russo e l’inverno decimarono la Grande Armata napoleonica. I ripiegamenti caratterizzarono anche la strategia militare dell’Armata rossa durante la Grande Guerra Patriottica. E anche in quel caso la Wehrmacht – che, come la Grande Armée un secolo prima – era la più micidiale macchina da guerra dell’epoca, venne travolta dalla tenacia sovietica e dall’inverno.

Un gelido inverno, la guerra va avanti

Nessuno conosce la strategia russa. Sappiamo quel che è diventata l’Ucraina dopo nove mesi di guerra. Ieri circolava nelle chat Telegram un’immagine satellitare notturna dell’Europa dell’est. L’Ucraina era completamente al buio. Sembrava un prolungamento del Mar Nero tanto era oscura. L’ONU teme un inverno catastrofico per milioni di ucraini mentre l’UE ritiene plausibile un aumento significativo dei flussi migratori provenienti da Kiev verso Polonia e Romania. Colpire le infrastrutture energetiche di un paese costringendo milioni di civili a vivere al freddo, senza luce ed acqua, oltretutto in inverno, è un atto criminale. Ma questa è la guerra purtroppo. Non ricordo alcuna guerra che non sia stata caratterizzata da atti criminali. La guerra non si può umanizzare, ma solo abolire disse Einstein. Nell’attesa che l’utopia divenga realtà sarebbe opportuno tentare di farla finire al più presto ma, dai leader europei concrete parole di pace non ne sono mai arrivate. Al contrario sono gli americani oggi ad apparire più pragmatici. Forse perché hanno sostenuto il maggiore sforzo militare per sostenere Kiev oppure perché hanno ottenuto tutti i loro obiettivi strategici in questi mesi. Non è più una guerra Russia-Ucraina. Forse non lo è mai stata. Oggi si tratta di una guerra Russia-Nato in Ucraina. La Nato mette armi, logistica, intelligence, strategia, comunicazione e coordinamento sul campo. Kiev mette gli uomini. Kiev versa il sangue. Il tutto per proseguire una guerra che nulla ha a che fare con la tanto sbandierata lotta per la libertà. Se l’occidente fosse davvero interessato alla libertà non resterebbe in silenzio di fronte all’apartheid in Palestina, o banalmente, non trasmetterebbe i mondiali in Qatar. L’ipocrisia è il male di oggi. In particolare in Europa. Gli americani, paradossalmente, sono meno ipocriti. Fanno i loro interessi e spesso neppure lo nascondono. Che le sanzioni alla Russia non avrebbero mai costretto Mosca alla resa, né avrebbero causato proteste tali da spingere Putin alle dimissioni e neppure fatto crollare l’economia del Paese più grande al mondo il quale, tra l’altro, è autosufficiente dal punto di vista energetico, alimentare, idrico e produce molti più fertilizzanti di quelli che utilizza, era piuttosto chiaro. Quando le sanzioni hanno provocato cambi di governi o rapidi negoziati? Probabilmente il momento di massimo sostegno popolare al regime fascista vi fu all’indomani dell’applicazione di durissime sanzioni all’Italia da parte della Società delle Nazioni in seguito all’attacco all’Etiopia. Anche acerrimi avversari del Duce si indignarono per tale atto avanzato da chi l’impero lo aveva e ne godeva sfruttando milioni di disperati. In tempi più recenti le sanzioni hanno buttato giù il governo cubano? Hanno indebolito Maduro? Hanno provocato il crollo del governo degli ayatollah in Iran? In Iran le sanzioni hanno rafforzato gli estremisti alla Rouhani indebolendo l’ala moderata che sperava in un avvicinamento politico ed economico (dunque culturale) con l’Occidente. Cuba resiste nonostante decenni di infame bloqueo e, ad oggi, in Venezuela l’industria petrolifera continua ad essere nazionalizzata. Ed è la nazionalizzazione degli idrocarburi la ragione delle sanzioni a Caracas, non certo i diritti umani violati.

Un gelido inverno, la guerra va avanti

L’obiettivo delle sanzioni americane imposte a Russia ed Europa non è mai stato porre fine alla guerra in Ucraina ma separare, potenzialmente per i prossimi trent’anni, l’economia russa da quella europea. Washington ha sempre temuto l’avvicinamento tra Mosca ed il Vecchio Continente. L’unione tra una grande potenza industriale come l’UE ed una grande potenza energetica come la Russia andava assolutamente evitata. Ci sono riusciti. Oggi la Russia guarda altrove, guarda alla Cina, all’India, al Pakistan, all’Indonesia, al Vietnam. L’Europa guarda agli Stati Uniti. Gli USA sono diventati i primi fornitori di gas liquido all’Europa. Si tratta di gas costoso, più complicato da trasportare del gas russo che da decenni viaggia su gasdotti molti dei quali progettati e terminati in epoca sovietica, addirittura più pericoloso dato che le tecniche estrattive sono molto dannose per l’ambiente. Lo scorso ottobre Macron – lo stesso Macron che nel novembre del 2019 sosteneva che la Nato fosse in uno stato di morte celebrale – si è lamentato per il prezzo di vendita del gas liquido che gli americani applicano da mesi all’UE. Un prezzo quadruplo rispetto a quello imposto al mercato interno. Le stesse rimostranze le avevano avanzate Bruno Le Maire e Robert Habeck, ministri dell’economia di Francia e Germania. Le sanzioni hanno indebolito la Russia ovviamente, tuttavia il paese più colpito è stata la Germania. Un “avversario” economico degli USA da diversi decenni. Non a caso Angela Merkel – la stessa che pochi giorni fa ha ricordato quanto abbia provato a convincere gli altri leader europei a dialogare con Putin dopo il sostanziale fallimento degli accordi di Minsk senza, tuttavia, (complice la sua prossima uscita dal potere) sortire effetti desiderati – venne intercettata dai servizi segreti USA nel 2012. D’altro canto allora non solo la Merkel si avvicinava a Pechino ma aveva appena inaugurato il Nord Stream 1 e stava pianificando la costruzione del Nord Stream 2, quel gasdotto che, una volta entrato in funzione, avrebbe probabilmente reso impossibile, in quanto tremendamente sconveniente, la vendita di gas USA in Europa. Per non parlare del fatto che quel gas, passando per il Baltico, non sarebbe più passato attraverso Ucraina e Polonia, due paesi particolarmente inclini a soddisfare gli interessi geopolitici USA. La guerra in Ucraina ha inoltre spinto la maggior parte dei paesi europei ad una nuova corsa al riarmo. D’altro canto le armi inviate vanno sostituite. L’aumento delle spese militari è sempre stato uno degli obiettivi della Nato. Ricordo le ramanzine che Trump dedicava ai leader europei, italiani in primis, ogni qual volta metteva piede nel Vecchio Continente, perché, a detta sua, i paesi europei non stavano rispettando l’impegno ad aumentare le spese militari fino al 2% del PIL. Impegno preso più volte con Washington. Evidentemente il comparto militare industriale USA pressava e Trump faceva da portavoce.

Un gelido inverno, la guerra va avanti

Le connessioni tra fondi di investimenti ed industria bellica d’altronde sono sempre più solide. Basti guardare le più importanti industrie belliche del pianeta (tra l’altro le prime cinque sono nordamericane e la sesta britannica). Ebbene i principali azionisti di Lockheed Martin Corporation, Boeing Company o General Dynamics Corporation sono sempre fondi di investimenti o banche d’affari. Su tutti Blackrock, Vanguard Group, State Street Corporation o Wellington Management Group. È la finanza bellezza! Altro che difesa delle libertà. Negli ultimi mesi è aumentato in modo significativo il numero di militari USA di stanza in Europa. E non fanno i turisti. Le forze armate USA in Germania ed Italia sono, di fatto, forze di occupazione. Se ciò non fosse vero il Governo italiano avrebbe diritto a chiedere al Pentagono di ritirare i suoi soldati. Ma questo non è possibile. Italia e Germania hanno perso la guerra e sono paesi, di fatto, a sovranità limitata. Tale sovranità, in questo momento storico, è ancor più limitata. In un momento in cui, complici i fallimenti USA in Afghanistan ed in Siria (fallito l’obiettivo di buttare già Assad) avevano minato la credibilità americana, paradossalmente, obbedendo ciecamente ai diktat della Nato, l’Unione europea non solo si è indebolita ma ha rilanciato la supremazia USA, supremazia sempre meno preponderante in mezzo mondo ma senz’altro più visibile in Europa. Un suicidio totale! Il rafforzamento del dollaro e l’indebolimento dell’euro sono una delle conseguenze. Chissà, ora che gli Stati Uniti hanno raggiunto gran parte degli obiettivi strategici che si sono prefissati negli ultimi anni e con il funzionamento dei gasdotti nel Baltico (gasdotti che gli USA iniziato a contrastare ben prima che la Russia invadesse l’Ucraina) compromesso, forse, la pace è più vicina. Forse la Crimea può restare russa. Forse Mosca potrà annettere il Donbass. D’altro canto geopolitica ed etica non hanno nulla in comune.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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