Alle radici del sionismo religioso

Le profonde ragioni storiche per comprendere i motivi dell’occupazione della Palestina

Il sionismo nasce in Europa orientale negli ultimi anni dell’Ottocento, diramandosi in diversi filoni tra i quali il revisionista e il religioso. È a questi due che Israele deve la sua nascita e il suo sviluppo. Il sionismo religioso, storicamente ancorato a sinistra, adesso è una delle correnti più a favore dell’occupazione dei territori palestinesi e della visione di uno Stato ebraico libero da altre fedi ed etnie. Con la Guerra dei sei giorni e l’adesione a partiti ultranazionalisti basati sul sionismo religioso, Israele ha sempre più radicalizzato il concetto di Eretz Israel (Terra d’Israele), ovvero, la visione della tutela della terra come fondamento stesso del sionismo e dell’identità ebraica.

Alle radici del sionismo
Gerusalemme, la Città Santa – ilMillimetro.it

Questo fenomeno e la sua deriva radicale li dobbiamo non solo all’ideologia di base su cui Israele si fonda, bensì al persistere di governi controversi e molto vicini a ideologie ultranazionaliste e suprematiste che hanno reso il Paese inospitale per ogni credenza diversa da quella ebraica. Questa circostanza è da ricercare nei settant’anni della sua storia, dalla Guerra dei sei giorni agli accordi di Camp David, fino ad arrivare alla radicalizzazione del sionismo religioso di Benjamin Netanyahu e i suoi alleati.

Il sionismo religioso e la svolta della Guerra dei sei giorni

Il sionismo nasce come movimento politico e secolare. Nel 1987, data del primo congresso sionista svoltosi a Basilea, l’obiettivo era quello di trovare una soluzione alle sofferenze e alle discriminazioni del popolo ebraico attraverso la creazione di uno Stato. Il movimento raggruppava una moltitudine di correnti e di pensieri e anche molti dissensi. In chiave prettamente antisionista vi era una larga maggioranza dei rabbini ortodossi europei. Questi si basavano su una rigida interpretazione del giudaismo e dei testi sacri, che permettono solo ed esclusivamente a Dio di redimere il popolo ebraico e portarlo all’unificazione nella terra di Sion. La diaspora era interpretata come una punizione divina per i peccati del popolo ebraico, quindi ogni alterazione umana significava commettere un grave peccato.

La svolta della Guerra dei Sei Giorni
L’Al-Aqsa Mosque nell’Old City di Gerusalemme – ilMillimetro.it

Solo alcuni rabbini aderirono al movimento, dando vita così al sionismo religioso. Secondo loro e secondo una nuova interpretazione, l’immigrazione e la creazione di Eretz Israel avrebbe concesso una preparazione all’arrivo del Messia e quindi l’esproprio di terre ai palestinesi e gli insediamenti avrebbero accelerato i tempi verso l’Era messianica. Non solo quindi il sionismo non andava contro il volere divino, ma, al contrario, la velocizzazione verso la creazione di uno Stato ebraico era ormai di buon auspicio per la redenzione del popolo stesso. Il fattore religioso, quasi assente ai tempi della creazione del sionismo che ai tempi era largamente laico, era diventato il punto di snodo verso la legittimazione dell’appropriazione delle terre considerate sacre, secondo cui neanche un granello della Palestina doveva rimanere escluso dal grande progetto coloniale.

Il sionismo religioso era dilagato nella società israeliana dopo la fine della Guerra dei sei giorni. Con quest’ultima, infatti, le connotazioni generali del sionismo religioso cambiarono, creando una frattura irreparabile tra l’idea di uno Stato d’Israele e l’attaccamento alla Terra d’Israele. La battaglia vide schierate le forze siriane, giordane ed egiziane, che subirono un attacco dalle forze israeliane a partire dal 5 giugno 1967. Nel primo giorno Israele distrusse gran parte dell’aviazione egiziana e giordana in poche ore. Nei giorni successivi portò avanti un’offensiva terrestre in cui conquistò la penisola del Sinai, il Golan, la striscia di Gaza, Gerusalemme Est e la Cisgiordania, ridefinendo e ampliando i confini della sua occupazione.

Ma la guerra non fu solo una vittoria militare e politica, bensì un segno divino poiché durò sei giorni, esattamente i giorni che impiegò Dio a creare il mondo. Da quel momento l’occupazione dei territori palestinesi aveva ancora più senso e l’espansione di Eretz Israel trovava legittimità nel volere divino, diventando quindi irrinunciabile. La società israeliana mutò irreversibilmente ponendo l’aspetto religioso, e quindi il sionismo religioso, al centro di ogni decisione politica e culturale. La spartizione della terra con i palestinesi era diventata ormai fuori discussione e l’occupazione un principio cardine.

La radicalizzazione violenta del sionismo religioso

Dalla fine degli anni ’70, la società israeliana subì un’enorme trasformazione, segnando un punto di svolta verso la radicalizzazione del sionismo religioso e alla creazione di gruppi terroristici che hanno sconvolto e mutato l’intero panorama politico del Paese. Nel 1977 il Mapai, partito di sinistra ancorato al governo dalla nascita di Israele, aveva perso alle urne contro il Likud con primo ministro Menachem Begin. Il Likud è un partito di destra tradizionalmente duro nei confronti dei palestinesi e molto religioso. Il Paese, quindi, cambiava volto, appoggiando linee ancor più stringenti nei confronti dei palestinesi e della confisca delle loro terre, mettendo al centro la nozione di Eretz Israel per giustificare le proprie politiche.

Il sionismo religioso e la radicalizzazione violenta
I muri nella Terra Santa – ilMillimetro.it

Un anno dopo, Israele firmava gli accordi di Camp David con l’Egitto. Secondo gli accordi, Israele si impegnava a ritirarsi dal Sinai, occupato con la guerra dello Yom Kippur nel 1973, e a demolire le decine di insediamenti che aveva creato. La scelta del governo Begin, sommata al cambiamento dalla nazione, ha portato a delle enormi conseguenze che hanno segnato la svolta radicale di Israele come lo conosciamo adesso. Il sionismo religioso subì un’ulteriore radicalizzazione e alcuni suoi gruppi si legarono al Likud, che in seguito si sarebbe spaccato dando vita ad altri partiti. Si formarono gruppi, come il Movimento Clandestino Ebraico, che ritenevano fosse arrivato il momento di agire secondo violenza e di difendere gli insediamenti imbracciando le armi.

Questo gruppo, infatti, diventò protagonista di diversi attentati nei quali rimasero uccisi numerosi palestinesi. Nella società israeliana esisteva un mondo formato da gruppi e associazioni che promuovevano azioni violente contro i palestinesi in una sorta di supremazia ebraica volta alla conquista di ogni singolo angolo del Paese. Una spirale di violenza che degenerò negli anni fino ad arrivare all’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin, il 4 novembre del 1995, durante una manifestazione tenutasi a Tel Aviv. Il terrorista era Yigal Amir, uno studente universitario radicalizzato in ambienti sionisti religiosi.

Benjamin Netanyahu e le pericolose coalizioni

La politica israeliana ha seguito passo passo questa trasformazione, traducendosi in coalizioni di dubbia resistenza ma comunque tutte rivolte verso l’occupazione dei territori e l’egemonia del sionismo in chiave religiosa. Entra in scena Benjamin Netanyahu come premier nel 1996. Bibi, leader del Likud e molto vicino al sionismo religioso, in un testo del 1993 aveva apertamente criticato gli Accordi di Oslo, rivendicando l’esclusivo diritto degli ebrei alla terra d’Israele. Solo una volta arrivato al governo, per assecondare le coalizioni e le pressioni USA, assunse un atteggiamento moderato. Il suo percorso politico lo ha visto rivestire il ruolo di ministro degli Esteri e delle Finanze nei governi Sharon all’ombra del ritiro delle truppe da porzioni della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Le pericolose alleanze di Benjamin Netanyahu
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (LaPresse) – ilMillimetro.it

In quegli anni il Likud si era sfaldato e Bibi aveva ripreso le sue vecchie posizioni fino ad arrivare ai giorni nostri, dove per restare al governo accetta di entrare in una coalizione con partiti ultraortodossi apertamente razzisti e suprematisti. Negli anni, i suoi governi hanno ceduto su quasi la totalità delle richieste arrivate da partiti ultraortodossi, che andavano dal finanziamento delle yeshivot (istituzione educativa che si basa sullo studio dei testi religiosi), fino ai finanziamenti per nuove colonie in Cisgiordania e l’astensione alla leva militare. È però dal 2022 che le cose hanno iniziato a farsi più cupe, quando il 29 dicembre 2022 il nuovo governo da lui presieduto ha prestato giuramento. Il nuovo governo, il più a destra della storia del Paese, ha raggruppato partiti di estrema destra con posizioni radicali sia sull’occupazione dei territori palestinesi sia su temi di ordine religioso.

Il Likud ha ottenuto 32 seggi, seguito poi da una coalizione che vede uniti tre partiti con 14 seggi (Sionismo religioso, Orgoglio ebraico e Gentilezza) e altri due partiti religiosi, Giudaismo della Torah e Shas, rispettivamente con 7 e 11 seggi. Il governo coinvolge due figure controverse famose per le loro posizioni violente e sovversive. Una di queste è Bezalel Smotrich, leader di Sionismo religioso. Smotrich è un avvocato nato e cresciuto in insediamenti illegali nel Golan, che tuttora abita in colonie in Cisgiordania. Nel 2006 ha fondato un’associazione che intenta azioni legali contro costruzioni palestinesi o beduine fatte senza permessi ed è stato arrestato per aver preparato un attentato terroristico. Adesso Smotrich è ministro delle Finanze con qualche ruolo affidatogli nella difesa.

Un’altra figura opinabile di questo governo è il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. Da giovane aveva militato nel partito Kach, internazionalmente riconosciuto come movimento terrorista il cui leader, Meir Kahane, era stato espulso dallo Knesset per le sue posizioni razziste antipalestinesi e i suoi discorsi che incitavano all’odio. Ben-Gvir è noto per aver avuto appeso nel suo ufficio un ritratto del terrorista Baruch Goldstein. Entrambi i leader di questi partiti estremisti si macchiano di un passato violento e di un presente che sta portando Israele verso una nuova drammatica deriva. Sotto il loro governo, le violenze contro palestinesi e cristiani sono aumentati a dismisura, facendo crollare ogni speranza di pace e stabilità. La coalizione che adesso governa è lo specchio di settant’anni di evoluzione radicale che aspira all’esclusività della terra per mezzo della violenza.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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