Cultura russa censurata, tra sospetto e interesse

“La Biennale di Venezia ha appreso la decisione del curatore e degli artisti del Padiglione della Federazione Russa i quali, rassegnando le dimissioni, annullano di fatto la partecipazione alla 59esima Esposizione Internazionale d’Arte”. Sono queste le prime righe del comunicato pubblicato a fine febbraio sul sito internet della Biennale di Venezia, una tra le istituzioni culturali più note e prestigiose d’Italia. Una comunicazione concisa, dalla quale emerge in modo chiaro quanto tra la cultura russa e quella italiana ci sia stato uno strappo. Dal 24 febbraio, data di inizio del conflitto tra la Russia e l’Ucraina, l’Europa ha preso in linea generale le difese del paese sotto attacco e nell’opinione pubblica si è nutrito gradualmente un sentimento di sospetto e risentimento verso la Russia. Se dal punto di vista delle istituzioni il distacco si è tradotto nelle sanzioni economiche, da quello culturale ciò che è accaduto, inizialmente, è stato un rifiuto e un allontanamento dalle forme d’arte che avessero a che fare con la Russia.  

Cultura russa censurata, tra sospetto e interesse
Foto di Beatrice Maroni

Una rimozione onnicomprensiva  

Complice l’onda emotiva sollevata dallo scoppio del conflitto “ci sono stati numerosi e deplorevoli casi di ostracismo nei confronti di grandi artisti russi. Si è trattato di tentativi di “cancellare” alcune tra le più alte manifestazioni della cultura russa la quale, tra l’altro, è a pieno titolo una cultura europea. Fortunatamente gli animi iconoclasti si sono calmati e  nei cartelloni sono tornati i titoli russi: ad esempio, proprio alla Scala di Milano la prossima stagione verrà inaugurata con l’opera Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij, compositore russo” – dice Natalia Chestakova, che per anni ha insegnato la lingua russa all’Università La Sapienza di Roma, e che vive in Italia da oltre vent’anni. La professoressa riscontra che nessun ambito artistico è rimasto incolume. Inizialmente il dibattito sulla cosiddetta “cancel culture” è stato molto acceso. Per giorni l’attenzione è stata rivolta alla Scala di Milano. Il direttore d’orchestra, Valery Gergiev, amico personale di Vladimir Putin, non ha ceduto alla richiesta del sovrintendente Dominique Meyer e del sindaco Beppe Sala di prendere le distanze dalla guerra ed è stato rimpiazzato sul podio. Poi è stato il turno della soprano Anna Netrebko che, nonostante avesse condannato il conflitto, si è rifiutata di salire sullo stesso palco il 4 marzo, quando sarebbe dovuta andare in scena con l’opera lirica “Adriana Lecouvreur”, di Francesco Cilea.

Cultura russa censurata, tra sospetto e interesse

Firenze, poi, c’è chi se l’è presa con uno dei più grandi autori della storia della letteratura mondiale, Fedor Dostoevskij, e ha perfino richiesto al sindaco Dario Nardella l’abbattimento del monumento a lui dedicato. Episodio simile è accaduto a Bari: “Quella dedica di Vladimir Putin a pochi passi dalla Basilica di San Nicola deve essere rimossa” recitava la petizione lanciata su change.org che ha raccolto oltre 11 mila firme. La richiesta rivolta al consiglio regionale pugliese era quella di far rimuovere la targa incisa sull’ottone, risalente al 2003, dietro la statua del vescovo di Myra, sul piazzale antistante la Basilica di San Nicola a Bari. E ancora, a Torino la cancellazione di una retrospettiva sul regista russo Karen Georgevich. Insomma, di episodi ce ne sono stati diversi, tutte dimostrazioni di un sentimento latente ma preoccupante di “russofobia” che si è tradotto in una forma di censura che rimanda inevitabilmente a drammatici momenti della storia contemporanea. Tra gli altri, ad avere avuto più eco è stata la proposta, poi ritirata, dell’ Università Bicocca di Milano di annullare il corso su Dostoevskij, che si sarebbe dovuto tenere il primo marzo. Ad annunciare il fatto fu lo stesso autore del corso, lo scrittore e traduttore Paolo Nori, spiegando che il protettorato alla didattica voleva evitare ogni forma di polemica interna e, considerata la tensione del momento, aveva deciso di rimandare il seminario.   

“Cancel culture”: un dibattito europeo  

C’è da dire che episodi come quelli sopra citati non sono avvenuti solo in Italia. Dalla Germania all’Inghilterra, in tutta Europa ci sono stati tentativi di censurare la cultura russa.  La Royal Opera House di Londra ha cancellato il cartellone estivo del Bolshoi (celebre compagnia di danza classica di Mosca) che avrebbe dovuto tenere 21 spettacoli tra luglio e agosto. A Dublino l’Helix Theatre ha cancellato la programmazione del Lago dei Cigni del Royal Moscow Ballet, per manifestare la sua solidarietà al popolo ucraino. E così via, in tante altre città europee si è alimentato lo stesso atteggiamento che, prevedibilmente, non è piaciuto in Russia. Il direttore dell’Ermitage (il più grande museo di Russia e uno dei più importanti al mondo) Mikhail Piotrovskij, ha rilasciato un’intervista in cui ha definito la guerra come “autoaffermazione della nazione”, e si è scagliato contro la cancel culture, di cui la Russia sarebbe, a suo parere, vittima. Il suo risentimento era dovuto, in particolare, all’esclusione dei principali musei della Federazione dal “Groupe Bizot”, l’organizzazione internazionale che sovrintende alle grandi esposizioni, a cui partecipano il Louvre, il Museo d’Orsay, il British Museum, il Prado ecc. E non è mancato il commento del presidente Vladimir Putin, che si è espresso sull’ “ostracismo pubblico, il boicottaggio o il totale silenziamento, la dimenticanza di fatti evidenti, di libri e nomi di grandi autori storici e attuali, di letterati o semplici persone che non corrispondono e non si adattano agli standard attuali, per quanto assurdi questi possano essere”, ma probabilmente, piuttosto che riferirsi all’immenso patrimonio culturale russo, il capo del Cremlino si riferiva al mancato riconoscimento di alcuni “meriti” del Paese, come quelli dell’Armata Rossa nella lotta contro il nazismo, da lui più volte decantati e rimarcati.    

Cultura russa censurata, tra sospetto e interesse
Foto di Beatrice Maroni

La curiosità e l’interesse vincono sul sospetto e sulla censura  

Sebbene il conflitto, purtroppo, prosegua da mesi, è giusto constatare che questi gravi episodi di censura sono diventati man mano meno frequenti e gradualmente è cresciuta la voglia di comprendere le cause della guerra e conoscere la storia della Russia. “Azzarderei un’ipotesi: in ambito universitario osserveremo, probabilmente, una maggiore curiosità nei confronti di altre lingue e culture slave: ucraino, ceco, serbo, per citare solo alcuni esempi di un mondo molto ricco e vario” – dice la professoressa Chestakova, che aggiunge: «potrebbe accadere che l’insegnamento del russo nelle università italiane venga lievemente ridimensionato, ma credo che lo sarà solo in modo lieve, poiché è comunemente riconosciuto l’eccezionale valore della cultura russa, soprattutto quella letterariache ha illuminato ed arricchito l’Europa dall’Ottocento in poi». Una propensione all’approfondimento, che è fiorita in ambito accademico e non solo. Se da una parte enti e istituzioni hanno agito d’impulso rifiutando tutto ciò che potesse essere associato alla Russia, dall’altra negli italiani è aumentato il desiderio di conoscere le origini e gli sviluppi storici e politici della Federazione, per provare a comprendere cosa ha scatenato la guerra.

Nelle librerie sono dunque aumentate le vendite di libri a tema Ucraina e Russia, in primis saggi di geopolitica, libri di storia, biografie di Putin e romanzi. Già perché è proprio nelle migliaia di pagine scritte dai grandi maestri della letteratura che si possono comprendere le radici del conflitto e la lunga storia dei due popoli. A partire dalla biografia di alcuni degli autori russi più letti, per esempio, si scopre quanto i due paesi siano storicamente interconnessi e quanto l’arte non conosca confiniNikolaj Vasil’evič Gogol’, uno dei grandi nomi della letteratura russa dell’Ottocento, per esempio, è ucraino, nato nel villaggio di Velyki Soročynci; Michail Afanas’evič Bulgàkov, uno dei più noti romanzieri russi del Novecento, è nato a Kiev. Impedire ad un cittadino europeo di incantarsi di fronte a un quadro di Repin, il cosiddetto pittore dell’anima russa, di ascoltare un concerto di Stravinskij o di perdersi nelle oltre mille e cinquecento pagine di “Guerra e Pace” è una forma di censura della conoscenza che certo non aiuta a porre fine al conflitto.

Cultura russa censurata, tra sospetto e interesse
Opera di Il’ja Efimovič Repin

La musica, la pittura, la poesia e la letteratura hanno storicamente contribuito ad avvicinare e unire i popoli, pertanto la presa di posizione contro il conflitto non dovrebbe andare di pari passo con il disconoscimento del valore della cultura di un paese. Associando il governo odierno di un paese alle opere artistiche prodotte nei secoli da quello stesso paese, “si rischia di sacrificare quegli stessi valori assoluti di cui è portatrice la cultura russa europea ed euroasaitica. Rimuovere qualsiasi opera o idea che non sia conforme al sentimento del momento, in ultima analisi ci rende più poveri e ignoranti”- dice Chestakova. Infondo non c’è alcuna ragione per cui sia lecito pensare che la demonizzazione della cultura russa possa minare la linea politica di un Presidente o possa essere un modo efficace per manifestare la solidarietà al popolo ucraino, piuttosto ne consegue un danno alla comunità intera.  

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