David Bowie è stato un grande attore!

Il 10 gennaio di sette anni fa ci lasciava David Bowie. Schivo, riservato, misterioso, sfuggente soprattutto negli ultimi anni. Dopo l’infarto, prima della malattia, Bowie comprese che non era più necessario rilasciare dichiarazioni, fare interviste, partecipare a conferenze stampa o fare l’ospite in televisione per promuovere le sue ultime fatiche. Perché? Ecco la questione. Non era solo una scelta di marketing – non dimentichiamo che Bowie lavorò in un’agenzia pubblicitaria prima di intraprendere la carriera da musicista e da performer che conosciamo. La sua visione artistica era tutta improntata su di una concezione teatrale profonda, intensa, che gli derivo dall’esperienza maturata nell’interpretare il ruolo del protagonista nello spettacolo The Elephant man. Musicista e performer: distinzione non trascurabile nel caso di un artista così eclettico ed inesauribile. Perché Bowie curava ogni minimo dettaglio dei suoi spettacoli come dei suoi dischi. La musica fu, per lui, un elemento fra i tanti. La sua prima vera vocazione, in realtà, fu di interpretare dei personaggi. Uno su tutti, quello che gli diede la popolarità da leggenda del mondo dello spettacolo: Ziggy Stardust. Fu la trovata che gli spalancò il mondo del cinema, consentendogli di prendere parte al suo primo film, L’uomo che cadde sulla terra.

David Bowie è stato un grande attore!

Davide Bowie – Dalla musica alla recitazione

Ma perché un cantante decide di fare l’attore, e non solo occasionalmente dato che la filmografia di Bowie è davvero molto vasta, collezionando per altro collaborazioni importanti con registi del calibro di David Lynch e Martin Scorsese? Il punto fondamentale risiede nel fatto che per tutta la sua carriera nel mondo della musica, Bowie si concepì quale personaggio da offrirsi al pubblico. Le sue stesse canzoni non erano che narrazioni, drammaturgie messe in musica. Questa attenzione all’immagine – sempre diversa ad ogni apparizione – e anche al modo di concepire i concerti, tradiscono in Bowie un’intenzione ben specifica, chiara, netta: quella di non proporsi in prima persona, di non offrire il destro al proprio ego di voler prendere il sopravvento mostrandosi nella sua nudità. Fu una dichiarazione dello stesso Bowie a rivelare il perché del suo interesse per la recitazione: “Ho scelto il film di RoegL’uomo che cadde sulla terra – perché qui non dovevo cantare, e non ero costretto a rassomigliare a David Bowie”. Non somigliare a sé stesso, non diventare lui una maschera o un personaggio. Cambiare genere, arte, indossare maschere diverse per non cadere in uno stereotipo. Ma anche, segretamente, per comprendersi come individuo. Questo lo portò a interpretare una scelta che lo indusse a interpretare parti sempre più complesse, giungendo al limite della scoperta della sua fisicità e delle sue capacità espressive sotto il profilo mimico oltre che recitativo.  Specie in teatro. Perché delle apparizioni cinematografiche di Bowie più che parlarne converrebbe rivederle per capire di quale intensità intimistica fosse capace davanti alla macchina da presa se l’occasione si mostrava propizia e all’altezza. Quello che in pochi sanno, se non forse i suoi ammiratori più pervicaci, è che Bowie fu anche un grandissimo interprete teatrale. Peccato che le occasioni non furono molte. Un po’ per scelta, un po’ per via dei suoi numerosi impegni musicali. Fatto sta che l’interpretazione che offrì in The Elephant Man fu davvero notevole. La commedia di Bernard Pomerance si basa sulla storia vera di John Merrick, l’uomo deforme di Leicester, che fece una vita penosa come attrazione circense di un freak show prima di morire alla sola età di ventisette anni nel London Hospital di Whitechapel. Merrick, oltre alla deformità che lo faceva somigliare ad un elefante, era anche claudicante. Si sa: il teatro è convenzione, fantasia. Impossibile riprodurre fedelmente la realtà. Neanche gli esperimenti scenici più veritieri sono arrivati a riprodurre fedelmente il mondo. E questo Bowie lo sapeva benissimo. Al punto che diede del personaggio di Merrick un’interpretazione intensissima, comunicando il senso della deformità, e della sofferenza che ne derivava, solamente attraverso un uso sapiente e scientifico del corpo. Ad apertura di sipario, secondo quanto le cronache ci riferiscono, David Bowie si presentò nudo con addosso soltanto un perizoma. Mentre un attore nei panni di Treves, il chirurgo che nella vita reale salvò Merrick, elenca di questi le difformità, Bowie enfatizzò le parole assumendo gradualmente una postura rattrappita, che resterà immutata per tutto lo spettacolo. Recitò, quindi, con tutto il suo corpo. Della sua interpretazione, non a caso, si disse che fu all’altezza di un numero di mimo di livello eccellente.

David Bowie è stato un grande attore!

David Bowie – Un talento naturale

E dal punto di vista delle battute? Non potevano certo essere pronunciate in modo normale. Non sarebbe stato coerente col resto del corpo. Bowie le interpretò servendosi solo dell’angolo della bocca. La sua voce finì così per somigliare ad un sibilo che usciva da labbra terribilmente contratte. E non potendo, in questo modo, nemmeno ricorrere ad una vasta gamma espressiva facciale, in sua sostituzione Bowie si affidò agli occhi e ai movimenti della testa per esprimere emozioni. Ne derivò un’efficacia certamente intensa, ma anche inquietante per il tipo di personaggio interpretata. The Elephant man, prima ancora che nel cinema, fu a tutti gli effetti la prima vera prova recitativa di Bowie. Il quale subentrò nel ruolo in sostituzione di un altro attore perché in quel periodo era alla ricerca di nuove avventure. L’idea che a dirigerlo fosse Jack Hofsiss, che sapeva molto del David musicista, lo convinse subito ad accettare. Fu un’esperienza che fece comprendere al Duca Bianco quanto importante fosse il ruolo del corpo e del viso dal punto di vista espressivo. Tuttavia, dopo la prima rappresentazione Bowie si mostrò preoccupato per come il pubblico avrebbe reagito ai movimenti del suo corpo. E tutto ciò senza pensare al suo personaggio. Ma gli bastò una settimana per entrare in parte e consegnare alle scene un ruolo leggendario che, purtroppo, in pochissimi ricordano. Per questa interpretazione Bowie riprese a fare esercizi di mimo con una maniacalità ed una costanza indescrivibili. Non solo per dare alle movenze una loro naturalezza, ma anche soprattutto per non incorrere, a fine rappresentazione, in dolori articolari atroci. Ma come ogni attore che si rispetti, si preparò ad affrontare il ruolo cercando anche di capire a fondo chi fosse Merrick. Si recò nel luogo dove visse i suoi ultimi anni, lesse, si documentò ricostruendone la psicologia. Nonostante fosse dotato di una grandissima personalità, Bowie non fu di quegli attori che escludono a priori il ruolo del regista nel loro lavoro. Al contrario, fu un interprete che si mise totalmente al servizio della commedia, accogliendo ogni indicazione per far sì che lo spettacolo avesse la migliore riuscita possibile. Caratteristica tipica di chi concepisce lo spettacolo come un lavoro di gruppo piuttosto che come il risultato di un singolo. Ma la preziosità di Bowie in scena fu anche quella di poterlo vedere metterci qualcosa di suo personale nel ruolo interpretato. Non per rifare sé stesso mascherandosi da qualcun altro, ma per cercare di capirsi un po’ di più, approfondendo lati sconosciuti della sua personalità. E qui torniamo al punto dal quale siamo partiti e che riguarda, in un certo senso, il Bowie manager di sé stesso. Perché fu così schivo e – diciamolo senza riserve – teatrale negli ultimi anni? Non fu solo la conseguenza naturale di un mondo, quello dello spettacolo, che conosceva bene. Ma un vero e proprio senso della recitazione, dalla quale imparò che i silenzi sono più importanti di una battuta, che un respiro fra una parola e l’altra è l’essenziale da tenere a mente quando si recita. Una lezione di grandissimo esempio, attuale, straordinaria da conoscere e bella da apprendere. Perché ci consegna l’ennesima perla di un artista che seppe lasciare il segno anche nel mondo del teatro, oltre che in quello musicale e cinematografico. David Bowie: che attore!

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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