Oxygen Bar: zero ghiaccio agli eschimesi

Con il cambiamento climatico ormai centrale nel dibattito pubblico, si moltiplicano le soluzioni per combatterlo. Ma c’è anche chi sfrutta il crescente inquinamento per trovare nuove opportunità imprenditoriali. Già negli scorsi anni si sono diffusi, soprattutto in Asia, espedienti per chi voleva respirare aria pulita, anche solo pochissima. In megalopoli come quelle cinesi o indiane, dove i livelli di qualità dell’aria sono tra i più bassi del mondo, nei primi anni dieci del Duemila erano state testate le lattine di aria pulita. Oggi, l’asticella è stata alzata e sono in grande aumento strutture intere che, come prodotto, offrono cocktail di aria pura: gli oxygen bar.

I prodromi letterari

I bar dell’ossigeno non sono frutto della moda del momento. La loro genesi affonda le radici alla fine del XVIII secolo: nel 1776, Thomas Henry, farmacista e membro della Royal Society d’Inghilterra, ipotizzò che l’aria deflogisticata appena scoperta da Joseph Priestley (oggi chiamata ossigeno) potesse diventare «di moda come il vino francese nelle taverne alla moda». Una provocazione, più che una previsione. Anche Jules Verne, cent’anni più tardi, si trovò a fantasticare sul tema. Nel suo romanzo Intorno alla Luna, del 1870, lo scrittore francese scrive: «Sapete, amici miei, si potrebbe fondare un curioso stabilimento con stanze di ossigeno, dove le persone il cui corpo è fiaccato potrebbero per qualche ora vivere una vita più attiva. Immaginate feste in cui la stanza fosse satura di questo fluido eroico, teatri in cui fosse tenuto ad alta pressione; quale passione negli animi degli attori e degli spettatori! Quale fuoco, quale entusiasmo! E se invece di un gruppo si potesse saturare un intero popolo, quale attività nelle sue funzioni, quale supplemento di vita ne deriverebbe! Da una nazione esausta se ne potrebbe fare una grande e forte, e conosco più di uno Stato della vecchia Europa che dovrebbe sottoporsi al regime dell’ossigeno per il bene della sua salute!».

Origini e sviluppi

Il primo oxygen bar con caratteristiche analoghe alle strutture contemporanee è stato inaugurato nel 1996 a Toronto, in Canada. L’O2 Spa Bar, questo il nome del locale, prendeva spunto dalle “Air station” (stazioni d’aria) nel centro inquinato di Tokyo e Pechino. La tendenza si è poi diffusa negli Stati Uniti: alla fine degli anni Novanta, bar dell’ossigeno erano presenti a New York, in California, in Florida, a Las Vegas e nella regione delle Montagne Rocciose. Per il cocktail della casa, niente bicchieri: i clienti di questi bar respirano ossigeno tramite una cannula nasale di plastica inserita nelle narici. Il mezzo è simile in tutto e per tutto a quello ospedaliero, ma il più delle volte è colorato di tinte accese. Oggi gli inalatori di ossigeno tipici degli oxygen bar sono diffusi anche in altre strutture come discoteche, saloni di bellezza, spa, centri benessere, resort, solarium, ristoranti, caffè, bar, aeroporti, stazioni sciistiche, studi di yoga, chiropratici e casinò, oltre che fiere, convegni e riunioni aziendali, nonché feste private ed eventi promozionali. La prima azienda a proporre questo genere di servizi su larga scala è stata Nh Hotels. La catena alberghiera ha aperto due strutture a tema nello stesso luogo, l’aeroporto di Barajas di Madrid, l’Elysium Travel e l’Elysium beauty Spa. Più centri estetici che bar purificati: nell’offerta, oltre all’aria pura, sono proposti massaggi Express da 25 minuti e trattamenti che promettono di migliorare il flusso cardiocircolatorio.

Oxygen Bar: zero ghiaccio agli eschimesi

Ossigeno sì, ma “corretto”

Negli inalatori di cui sono provvisti gli oxygen bar non viene pompata aria qualsiasi: la percentuale di ossigeno ivi contenuta supera quella atmosferica di circa il 21 per cento. Spendendo un dollaro al minuto per massimo venti minuti, i clienti possono inalare O2 prodotto tramite un macchinario industriale, dunque diverso dalla classica bombola da ospedale, che all’aria pura può anche aggiungere odori. Sì, perché per i più audaci è possibile mischiare il tutto con aromi e profumi di ogni tipo: dalla menta all’eucalipto al caramello e alla lavanda, l’aria corretta ha aromi per tutti i gusti e i palati più esigenti.

Oxygen Bar: zero ghiaccio agli eschimesi

Gli studi

Con il diffondersi di questa nuova moda in giro per il mondo, la comunità scientifica si è interrogata se le promesse degli oxygen bar fossero realistiche o solo una mera trovata di marketing. Sul tema, è stato pubblicato su PubMed nel 2011 uno studio intitolato “Oxygen bar effectiveness: a randomized quantitative study” (uno studio quantitativo randomizzato sull’efficacia degli oxygen bar). I quattro ricercatori autori dello studio, tutti provenienti da università americane, si sono chiesti se i benefici reclamizzati dai produttori, quali una diminuzione dello stress, un aumento delle forze e una maggiore rilassatezza, fossero realtà o suggestione. Lo studio è stato condotto con un disegno sperimentale quantitativo e i soggetti sono stati randomizzati in due gruppi. Tutti i soggetti hanno compilato un questionario su scala Likert (una tecnica psicometrica di misurazione dell’atteggiamento inventata dallo psicologo Rensis Likert) per misurare i livelli di energia, rilassamento e stress. La saturazione di O2 e la frequenza cardiaca sono state ottenute con un pulsossimetro. Al primo gruppo è stato prima somministrato ossigeno purificato per 10 minuti, poi tolto (lasciando il macchinario acceso, senza dirlo ai soggetti) per 10 minuti, infine risomministrato per altri 10 minuti. Il secondo gruppo ha seguito lo stesso procedimento, ma con somministrazioni invertite. Il risultato ottenuto da tali analisi ripetute più volte ha evidenziato l’assenza di differenze significative tra i due gruppi sia nel loro insieme, sia negli intervalli di tempo in cui l’ossigeno era erogato o meno. Inoltre, secondo le misurazioni dei ricercatori l’utilizzo dell’O2 purificato non avrebbe influenzato in alcun modo i livelli di stress, forza e rilassamento dei partecipanti ai test.

Presente e futuro degli oxygen bar

Nonostante i bar dell’ossigeno siano passati senza risultati apprezzabili sotto la scure della scienza, la loro diffusione non arretra. Anzi. Sulla stampa italiana, forse attratta dall’affinità con il crescente inquinamento, ha fatto capolino la storia di due ragazzi indiani che quest’anno hanno aperto il proprio oxygen bar in una New Delhi sempre più strangolata dallo smog. Aryavir Kumar, 26 anni, e Margarita Kuritsyna, 25 anni, hanno avuto l’idea dopo un viaggio a Las Vegas: nel loro locale si può respirare aria purificata per un massimo di 15 minuti tramite una mascherina. Anche qui, oltre al solo ossigeno, sono disponibili aromi per tutti i gusti. Sebbene utilità e benefici dei bar dell’ossigeno in zone dall’aria irrespirabile come l’India, la Cina e il Giappone possano avere una loro ratio e una qualche presa sul pubblico locale, gli orizzonti in altre aree del pianeta sembrano più limitati. Eppure, qualcuno, come l’azienda Exar, propone la vendita di macchinari ossigenanti a bar, alberghi, centri benessere e privati anche in Italia, sia con aria purificata che con ossigeno aromatizzato. I dispositivi, dalle forme e funzionalità più disparate, sono reclamizzati come fossero strumenti da barista da ragazze avvenenti e foto di cocktail sulla spiaggia. Se anche soltanto vent’anni fa immaginare un oxygen bar nelle nostre città era più vicino a una distopia post apocalittica che alla realtà, con il passare degli anni il confine tra questi due scenari si è fatto sempre più labile. Il riscaldamento globale avanza, i grandi inquinatori mondiali non accennano a diminuire le loro emissioni, le conferenze internazionali sul clima disattendono i propri obiettivi, le foreste arretrano e, con esse, la qualità della nostra aria. Se qualcuno avesse provato a vendere ai baby boomer l’idea di comprare 20 minuti di aria imbottigliata e aromatizzata per 20 euro, la reazione sarebbe stata la stessa di un eschimese cui veniva offerto un ghiacciolo a prezzi esorbitanti. Chissà se, tra qualche settimana, a un esponente della Generazione Z verrà in mente di sbarcare il lunario aprendo un bar dell’ossigeno. Magari, perché no, a via Monte Napoleone o all’ombra del Bosco verticale.

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