I padroni della montagna, la storia

Padroni delle montagne. E di un pezzo di prato e di bosco e di bestiame. Una distribuzione avvenuta nel Medioevo. “La Regola è bella!“, esclama la signora Irene. Quasi emozionata. Si esprime in modo elegante, indossa un abito che emana tradizione. Una specie di corsetto copre la parte frontale della veste bianca a maniche lunghe e sotto si allarga con la gonna tipica dei costumi popolari. Il suo cognome, più che un programma, è una certificazione d’appartenenza. Siamo nel Cadore, quelli che “contano” si chiamano tutti (più o meno) così. Larese, Vecellio, Zandegiacomo, pochi altri: “Certo, io sono regoliera…”. Una semplice domanda e arriva una risposta fiume. Eppure siamo poco distanti dal lago di Santa Caterina, colori meravigliosi, un occhio celeste immerso nel verde. Tira fuori diverse copie di una rivista mensile, si chiama “La Faula” e prende il nome delle antiche assemblee dei capi famiglia. Autoprodotta, naturalmente. “Fogli informativi delle Magnifiche Regole di Villagrande e Villapicola di Auronzo di Cadore“, c’è scritto in prima pagina.

I padroni della montagna, la storia
Foto di Carlo Roscito
I padroni della montagna, la storia
Foto di Carlo Roscito

I padroni della montagna – Custodi del patrimonio

Bisogna procedere con ordine (e attenzione) per comprenderne il significato. È una storia di mille e più anni, che quindi diventa Storia. Anzi, con la ST maiuscola. Dai barbari ai giorni nostri, resistendo a Napoleone: il tempo scorre veloce, ma quella parte di mondo deve rimanere intatta. Troppo affascinante per essere rovinata. Ed è troppo sconveniente rinunciare ai diritti maturati per eredità, senza virtù evidenti, se non quello della discendenza e del proseguire il compito di cui i gruppi da sempre si sono proclamati custodi. Si chiamano “Regole” e per loro, le regole, non corrispondono a quelle della società politico-civile, nel corso dei secoli modificate e plasmate a misura d’uomo. Le norme, qui, sono su misura dei luoghi meravigliosi che le caratterizzano. Le persone ne salvaguardano l’aspetto. I benefici sono evidenti: c’è un bel ritorno economico, senza far finta di essere ingenui. Meritato, da un certo punto di vista.

I padroni della montagna – Potenza economica

Passateci il gioco di parole, riassumendo al massimo: la natura incontrastata rimane tale perché c’è la Regola che contrasta l’uomo che potrebbe contrastare l’autenticità dei luoghi e degli autoctoni. Detto così, sembrerebbe una battaglia ambientalista che non prevede la possibilità di dettare condizioni. Le Regole, al contrario, spesso sono più forti delle istituzioni o dei Comuni, anche dal punto di vista pecuniario. Il maltempo fa crollare gli alberi che bloccano la strada? Ci pensa la Regola a rimettere in ordine con i suoi mezzi e i suoi soldi. Un aspetto che fa comodo a chi spesso non avrebbe né i macchinari, né la forza lavoro necessari. Sono le Regole, antiche istituzioni locali, a prendersene carico a seconda della zona di possedimento.

I padroni della montagna – Il Laudo, costituzione antica che penalizzava le donne

Le strutture si basano sull’aggregazione di famiglie e comunità che si identificano fortemente con il territorio in cui vivono. Avevano lo scopo di gestire e regolamentare l’uso delle risorse naturali come pascoli, boschi, terreni agricoli e risorse idriche, in modo sostenibile e collettivo. Talmente legate alla propria essenza da avere un regolamento specifico, difficilmente mutabile: si chiama “Laudo” ed è la loro costituzione. Ci sono scritti tutti gli articoli che determinano i diritti e i doveri di coloro che ne fanno parte. La penna, per metterci mano, deve essere quella del notaio: poi l’istanza si manda in Regione per l’eventuale approvazione finale. La signora Irene, che gestisce una tabaccheria in cui si trovano anche deliziosi souvenir, spiega con fierezza: “Erano gli inizi degli anni 2000 e sono riuscita a far passare una mozione in favore delle donne nella Regola di Villagrande. La mia Regola. Quelle che sposavano un forestiero, prima, perdevano ogni diritto come regoliera. La legge era ingiusta. I diritti non spettano a mio marito perché non ha un cognome originario, lo capisco, ma è giusto che io li mantenessi!”. Così è stato.

I padroni della montagna – Diritti e doveri

Discorsi da feudalesimo mentre in cielo, per scattare foto panoramiche perfette, volano droni comandati da smartphone di ultima generazione. Eppure, tra quelle montagne giganti che sfidano le Epoche, i “vecchi” problemi non sono mai antiquati. Rimaniamo ad Auronzo (provincia di Belluno), nella Regola di Villagrande, vista la gentile Irene. Nel 2021 varò una task force per combattere il bostrico, un insetto che aveva causato una grave emergenza nel bosco: venne assunta una squadra di boscaioli che si occupò di salvaguardare la vegetazione dall’avanzare del parassita. Intervento prezioso e tempestivo. “Ogni Regola si riunisce il lunedì di Pasqua per la Faula, cioè l’assemblea in cui si fa il punto della situazione. In passato era l’ultimo giorno di festa prima dell’inizio dei lavori agricoli: i membri, da quel momento in poi, non potevano più mollare i campi per partecipare all’incontro”.  

I padroni della montagna – Territori contesi

Le Regole non appartengono solo ad Auronzo, punto focale della chiacchierata. Si sono costituite nel basso Medioevo (intorno al 1300, secondo alcune fonti addirittura prima) ed erano diffuse in tutto l’arco alpino. In tempi recenti, negli anni 90, molte di queste sono state riconosciute ufficialmente con un Decreto Legge. In realtà non hanno mai cessato di esistere, in un certo senso di comandare. Pure qui servono esempi: se un torrente viene sghiaiato, il Comune dovrà pagare l’affitto alla Regola padrona del territorio in cui quella ghiaia verrà buttata. Questioni pratiche e ricorrenti. «Con la nuova amministrazione abbiamo ripreso i dialoghi. Sono 20 anni che cerchiamo un accordo, le terre alte sono nostre e per questo ancora le rivendichiamo!». In ballo c’è una ricchezza naturale straordinaria: tutto ciò che è extraurbano, i terreni per i pascoli, la strada per le Tre Cime di Lavaredo, tanto altro.  

I padroni della montagna – Organizzazione

Il capo di ogni Regola era (ed è) il Marigo, che viene assistito da Consiglieri (“laudatori”), guardie del pascolo (“saltari“), un cassiere (“cuietro“) e dal “precone“, con funzioni di messo, che eseguiva le pignorazioni e gridava ad alta voce gli ordini del Marigo. Le cariche erano annuali, gli eletti dovevano giurare sul Vangelo di compiere con coscienza il loro lavoro; ogni incarico era obbligatorio, chi rifiutava veniva multato e poi costretto a esercitarlo. Il Laudo, di cui abbiamo parlato in precedenza, è lo statuto delle Regole. Deriva dal latino “laudamos quod“, “decidiamo che”. È una delle prime espressioni scritte della popolazione ampezzana e cadorina, un regolamento sull’utilizzo dei boschi e dei pascoli. Tuttora il Laudo stabilisce gli organi amministrativi della Regola e prevede le attività che possono essere esercitate, compresa la concessione di porzioni di territorio per le attività turistiche. I testi sono analoghi, però ogni Regola ne ha un suo autonomo.

I padroni della montagna, la storia
Foto di Carlo Roscito

L’organizzazione delle Regole si basa sul “fuoco“, ovvero sul nucleo familiare rappresentato in assemblea da un suo membro. L’insieme dei fuochi ha il compito di gestire i beni di proprietà collettiva (patrimonio antico): sono invendibili, indivisibili e si trasmettono solitamente per via paterna (ora in alcune Regole anche per via materna). La loro consistenza va mantenuta nel tempo e soprattutto non possono essere utilizzati per attività che non rientrano nell’ambito agro-silvo-pastorale: va bene una malga o un rifugio, non un hotel a 5 stelle o un parco giochi. In questo modo viene evitata ogni tipo di speculazione edilizia. Una curiosità: le inclusioni delle nuove famiglie sono ammesse soltanto se sono residenti da molti decenni (dagli 80 ai 100 anni) e devono comunque essere approvate dall’Assemblea dei Regolieri.

I padroni della montagna – Nascita

La proprietà collettiva di boschi e pascoli è stata per secoli la fonte essenziale dei mezzi di sopravvivenza della gente di montagna. I primi abitanti della valle, presumibilmente tribù celtiche, utilizzarono il pascolo in comune che successivamente si consolidò durante la dominazione longobarda (dal 578 d.C.). Da lì partì lo sviluppo vero e proprio delle Regole. Lo Stato dei Longobardi, essendo una popolazione nomade, non era territoriale, ma uno “Stato personale“, cioè degli appartenenti alla stessa stirpe. I terreni, considerati una concessione dello Stato alla famiglia, dovevano restare indivisi in essa e non si potevano vendere. Anche i boschi, i pascoli e le montagne, quindi, divennero proprietà collettiva dei consociati che poi trasmettevano il loro diritto agli eredi. Se una famiglia non aveva discendenti, i terreni tornavano alla tribù. Con lo Statuto cadorino del 1338 venne riconosciuta la piena proprietà dei boschi alla “comunità degli originari“. La Regola divenne a tutti gli effetti una comunità chiusa, composta da persone aventi diritti. Sono gli stessi rivendicati adesso, 1.000 anni dopo la distribuzione. Anche dall’elegante signora Irene.

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Il prigioniero del secolo

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