Il Muro del Doping, parte I

Fu doping, nonostante i vari tentativi di occultamento. In Germania è vietato approfondire, chi lo ha fatto negli anni ha rischiato querele e improvvise interruzioni di carriera. Eppure, la giustizia grida vendetta, per troppi anni si sono festeggiate vittorie ottenute con pochi meriti sportivi e per troppo tempo nessuno ne ha parlato. Soltanto uno studio interno dell’Università di Berlino (nel 2013) ha sollevato interrogativi e perplessità che in molti avevano nascosto. Noi de il Millimetro porteremo avanti questo viaggio per quattro appuntamenti, dove cercheremo di far emergere la verità con documenti e interviste esclusive. Ma andiamo con ordine: la Germania Ovest avrebbe fatto uso di doping durante i Mondiali del 1966 in cui perse in finale con l’Inghilterra (con lo storico gol fantasma di Hurst). Una pratica che poi divenne sistematica nella prima parte degli anni ’70. Nel report vengono menzionate anche le formazioni che parteciparono ai Mondiali del 1954 e del 1974: in tutti e tre i casi i tedeschi arrivarono in finale. Riportata a galla una lettera di un ufficiale della Fifa, datata 1966, in cui si parla di “tracce di efedrina”, uno stimolante vietato, trovato in tre calciatori tedeschi durante la competizione che si disputò in Inghilterra. All’epoca non si fece attendere la reazione della Federcalcio tedesca (Dfb), che respinse fermamente le accuse attraverso il vicepresidente Rainer Koch. “Non è un argomento nuovo per noi , la Federazione non sapeva della lettera prima che fosse resa pubblica. Per noi la squadra non ha trasgredito le regole doping introdotto nel Mondiale del 1966. Le perizie chiariranno se, per le leggi sportive, i nazionali tedeschi abbiano violato le regole”. Nel frattempo – Johan Cruyff – leader dell’Olanda che perse a sorpresa in finale nel 1974, testimoniò ‘a favore’ della regolarità del torneo.

Il Muro del Doping, parte I

“A essere onesti, non ricordo se ci siano stati test antidoping – scrisse la leggenda dell’Ajax e del Barcellona al quotidiano olandese ‘De Telegraaf‘ – durante la finale io, almeno, non ho notato niente di strano. Quell’anno la Germania era meglio sviluppata fisicamente. Tutti dicevano che era dovuto al fatto che bevevano più birra…”. Non diede particolare peso alla vicenda nemmeno il segretario generale della Lega Tedesca di Calcio (Dfl), Andreas Retting. “No, non credo ci sia un problema, benché sia un tema che ci colpisce tutti”, spiegò in occasione del 50° anniversario della Dfl. Rispetto all’introduzione dei controlli del sangue nel mondo del calcio, Retting si disse favorevole ad imporli anche prima del previsto: “Siamo stati ben consigliati e siamo aperti a cominciare perfino prima del tempo”. Allo stesso modo assicurò di voler fare “tutto il possibile” per proteggere “l’integrità” della competizione. “Il nostro obiettivo è che i controlli del sangue incomincino già in questa stagione. La Dfb è nell’ultima fase delle trattative con l’Agenzia Nazionale Antidoping“, spiegò. “Non appena i contratti saranno ratificati potremo cominciare con i controlli. È previsto che il 15 percento delle prove di urina sia sostituito con le prove del sangue. È un buon segno proveniente dal mondo del calcio. Possiamo dire chiaramente: vogliamo aprirci ed introdurre controlli più esaustivi, malgrado non esista indizio alcuno che faccia pensare che siano necessari”.

Il mondiale del 1954

Ospitato dalla Svizzera (per festeggiare il compleanno della Fifa), la favorita numero uno era la grande Ungheria: una squadra imbattuta da quattro anni e imbottita di campioni straordinari come Puskas, Kocsis, Hidegkuti. Insomma, una corazzata che faceva paura a tutti. L’Italia si era presentata con una formazione di buon livello (tra gli altri c’erano Boniperti, Ghezzi e Benito “veleno” Lorenzi) ma adottando purtroppo un modulo di gioco del tutto inadatto alle scarse caratteristiche corsaiole dei nostri giocatori: il WM (oggi il più famoso 3-4-3). Questo perché l’allenatore della Nazionale, Lajos Czeizler, ne era un convinto sostenitore avendolo praticato al Milan. Peccato che poi, di fronte allo scudetto della Juventus nel 1952 e soprattutto alla doppietta nel 1953 e 1954 dell’Inter, che aveva ripudiato il WM per passare al più pratico catenaccio, il Milan l’avesse licenziato considerandolo sostenitore di un sistema di gioco ormai sorpassato. La Federazione italiana aveva colto la palla al balzo nominandolo Commissario tecnico. L’incongruenza più grossa fu che nella lista dei convocati figurava un folto gruppo di giocatori nerazzurri, costretti da Czeizler a scendere in campo con il 3-4-3 che avevano da tempo ripudiato. Il risultato fu che, nell’esordio con i padroni di casa della Svizzera, rigidamente impostati a catenaccio, la Nazionale perse per due reti a una. La partita successiva contro il Belgio, vinta per 4-1, fruttò comunque il diritto a incontrare di nuovo la Svizzera in un match di spareggio e soprattutto rinforzò i convincimenti del nostro Ct sulla bontà del WM: gli elvetici vinsero 4-1, passarono ai quarti e misero fine al nostro Mondiale. Tra le altre partite dei gironi preliminari vale la pena di ricordare Ungheria-Germania: i tedeschi, certi di passare il turno anche in caso di sconfitta, persero 8-3 schierando le riserve. Ma fu l’occasione che cercavano per eliminare Puskas, colpito a una caviglia da Liebrich: per il campione magiaro fu di fatto la fine del mondiale. Sarebbe rientrato solo per la finale, ma chiaramente molto limitato nelle sue possibilità di gioco. Ai quarti arrivarono quindi la Svizzera padrona di casa, l’Inghilterra, l’Uruguay, la Germania, l’Ungheria, l’Austria, il Brasile e la Jugoslavia. Gli ungheresi approdarono alla finale battendo con lo stesso risultato, 4-2, prima il Brasile e poi l’Uruguay.

Il Muro del Doping, parte I

I Verdeoro, per l’ennesima volta, avevano dimostrato che, al di là delle indubbie capacità tecniche, non avevano alcuna conoscenza di tattica. Si sarebbero presto rifatti con gli interessi. Gli uruguagi, dopo aver sconfitto 4-2 l’Inghilterra, proprio a causa del duro trattamento dei difensori inglesi persero ben tre giocatori: Abbadie, Ambrois e soprattutto il capitano, Varela. Giocarono la semifinale contro l’Ungheria, ancora priva di Puskas, e sfiorarono persino la vittoria. Sul 2-2 colpirono un palo e sulla ribattuta Schiaffino centrò in pieno il portiere. Due traversoni in mezzo all’area e la testa di Kocsis siglarono il definitivo 4-2. L’altra finalista era la Germania: sconfitta per 2-0 ai quarti la Jugoslavia senza faticare troppo, i tedeschi si trovarono di fronte in semifinale l’Austria, che aveva sepolto di reti la Svizzera (7-5), in una partita dove entrambe le difese avevano fatto acqua anche a causa dell’improvvisa conversione al WM degli austriaci, modulo che come ormai sappiamo scopriva troppo la difesa. La Germania distrusse l’Austria per 6-1 e volò a Berna a sfidare l’Ungheria per il titolo. I magiari commisero l’errore di schierare Puskas con la caviglia ancora infortunata insieme a uno stanchissimo Hidegkuti, rinunciando così alle forze fresche di un Palotas in piena forma fisica. Puskas era dotato di una classe così immensa da segnare comunque la rete dell’1-0 al sesto minuto, raddoppiata all’ottavo da Czibor. I tedeschi, che correvano come ossessi, pareggiarono con due reti di Morlok al decimo e di Rahn al diciottesimo del primo tempo. Nella ripresa non ci fu storia e solo la classe degli ungheresi limitò la sconfitta al punteggio di 3-2, raggiunto con un secondo gol di Rahn. La Germania era campione del mondo: il miracolo di Berna, lo soprannominarono i giornali teutonici. Ma il giorno successivo alla finale i campioni del mondo festeggiarono con un ricovero ospedaliero per problemi al fegato. Per la prima volta l’ombra dell’abuso di farmaci allungava sul mondiale la sua triste mano. Le proteste degli ungheresi non servirono a nulla, nell’impossibilità di provare in modo definitivo la colpevolezza dei tedeschi.

Dal 1950 al 1990: lo sport in Germania si basa sul doping

Per un intero ventennio le tedesche della DDR furono le grandi protagoniste di ogni disciplina riguardante l’atletica leggera. Dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, si scoprirà però che queste atlete erano tenute sotto controllo dallo Stato, e sottoposte – a loro insaputa – da trattamenti medici. Già nel 1986 ci furono molti dubbi sulle prestazioni sportive di Heidi Krieger, che insospettì i giudici dell’epoca con un lancio del peso di ben 21,10 metri. La tedesca infatti era imbottita di sostanze dopanti come l’Oral Turinabol, uno steroide che altera i tratti somatici a tal punto da diventare quasi maschili. Con in corpo un tasso d’ormoni di 17 a 1, (Ben Johnson, velocista canadese di origine giamaicana, aveva un rapporto di 10 a 1), Heidi, oltre ad ottenere la squalifica, fu anche vittima di una crisi d’identità e di un tentativo di suicidio. La sua medaglia d’oro e quella di altre atlete per la DDR erano solo uno strumento di propaganda ad uso del partito comunista.

Il Muro del Doping, parte I

Infatti, la Germania dell’Est rappresentava allora una delle tre potenze, nello sport femminile, a livello mondiale con l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. A farne le spese, le donne, che furono usate come delle cavie da laboratorio. Purtroppo, però, non ricordiamo soltanto le atlete dell’atletica leggera ma anche alcune nuotatrici come Cornelia Hender, Kathleen Nord, Kristin Otto e molte altre, anche loro trovate dopate fino al midollo, con sostanze che –addirittura- non venivano precedentemente testate sugli animali. Le conseguenze? Molte e gravi. Tumori al seno, infertilità, depressione, disfunzioni di ogni genere ma soprattutto tanti cadaveri sulla coscienza. Qualcuno disse che “avevano più testosterone loro che un’intera squadra di calcio”. Manfred Ewald, ex ministro dello sport e presidente del Comitato Olimpico della DDR, fu condannato a 22 mesi nel 2000 per aver imposto il doping. A questa triste e squallida vicenda, si aggiunge inoltre che le atlete erano “osservate” 24 ore su 24 e 7 giorni su 7: le spie ascoltavano e misuravano addirittura le prestazioni sessuali delle ragazze. Una di loro, ‘Kati’, vuoterà il sacco e mostrerà a tutti le 3mila pagine di dossier che la polizia tedesca aveva riempito della sua vita, quando era ancora una bambina.

Storie incredibili e silenzi ancora troppo rumorosi, tra qualche settimana ascolteremo la testimonianza diretta di chi ha vissuto questa vicenda sulla propria pelle.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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