I complottisti accusano la Russia

Nel marzo del 2011, Mu’ammar Gheddafi, rilasciò un’intervista a Le Journal de Dimanch. Probabilmente scelse quel giornale francese per far arrivare un messaggio forte e chiaro a Nicolas Sarkozy, all’epoca Président de la République française, colui che, più di ogni altro, voleva morto il leader libico. «Se cado io, migliaia di immigrati invaderanno l’Europa» disse il rais. Alcuni giorni prima lo stesso Gheddafi ebbe un colloquio con Tony Blair, ex-premier britannico. Il contenuto della conversazione venne reso noto alcuni anni dopo dalla Commissione Esteri del Parlamento britannico. «Se cado io, il Paese finirà in mano ai jihadisti». Il 15 marzo del 2011, Gheddafi rilasciò un’ultima intervista a Il Giornale, all’epoca diretto da Alessandro Sallusti«Se al posto di un governo stabile, che garantisce sicurezza, prendono il controllo queste bande legate a Bin Laden, gli africani si muoveranno in massa verso l’Europa. E il Mediterraneo diventerà un mare di caos». Non ho mai provato alcuna simpatia per il rais. Altri gli baciavano le mani o l’accoglievano con tutti gli onori come fece Giorgio Napolitano al Quirinale o lo stesso Sarkozy all’Eliseo, quando Gheddafi veniva trattato con i guanti anche grazie ai miliardi di dinari libici che aveva generosamente donato allo stesso Nicolas. Tuttavia, oggi andrebbero rilette le sue parole e quelle di coloro che all’epoca lo adulavano. «Sono stato molto lieto di accogliere al Quirinale il leader della rivoluzione Colonnello Mu’ammar El Gheddafi. Si tratta della prima visita del Leader libico in Italia e in particolare in Quirinale, nella sede della Presidenza della Repubblica. Questa visita cade all’indomani della firma del Trattato di Amicizia sottoscritto a Bengasi che ha chiuso “definitivamente il doloroso capitolo del passato”, ed espresso la “ferma volontà delle Parti di costruire una nuova fase” del rapporto bilaterale. Noi vogliamo che, come è scritto nel Trattato di Bengasi, questo nuovo rapporto sia caratterizzato da un forte ed ampio partenariato politico, economico e in tutti i settori della collaborazione tra i due Paesi». È terrificante rileggere queste parole. Le pronunciò Giorgio Napolitano il 10 giugno del 2009. Meno di due anni dopo Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, con il supporto italiano, iniziavano i bombardamenti sulla Libia, bombardamenti avallati dallo stesso Napolitano. Bombardamenti che portarono alla destituzione e poi alla morte di Gheddafi. Non si dovrebbe parlare di flussi migratori nel Mediterraneo senza ricordare questa vergogna. Non solo perché la destabilizzazione della Libia continua a mietere vittime e a favorire le partenze. Ma soprattutto perché i responsabili politici di quella infamia, per lo meno in Italia, sono ancora al governo del Paese e, al posto di assumersi le proprie responsabilità o ammettere i propri fallimenti, preferiscono spaventare o manipolare la pubblica opinione.

I complottisti accusano la Russia

Immigrazione – Le accuse al gruppo Wagner

Negli ultimi giorni, i principali esponenti del governo, hanno accusato il gruppo Wagner o addirittura il Cremlino, di essere i responsabili dell’aumento dei flussi migratori degli ultimi mesi. In effetti gli sbarchi (quelli registrati) sono triplicati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Immagino cosa avrebbero detto i vari Meloni, Salvini o Tajani se qualcun altro, al governo al posto loro, per giustificare il boom degli sbarchi, avesse tirato in ballo Putin. In effetti non serve immaginare, basta consultare l’archivio. Lo scorso 26 luglio, in piena campagna elettorale, Matteo Salvini disse«Per la sinistra sarebbe Putin a spingere i barconi. La paura di perdere la poltrona fa brutti scherzi! La colpa è di Pd e Lamorgese». Adesso tace. In compenso a regalarci parole in libertà ci pensa Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega in Senato e uomo di fiducia dello stesso Salvini«I barconi dei profughi ce li manda Putin, intervenga la Nato». E ancora: «Mi pare evidente che, ad esempio, la Russia possa avere l’interesse a destabilizzare quell’area geografica per moltiplicare i flussi migratori e mettere in difficoltà i Paesi europei che si sono schierati contro di lei nella guerra con l’Ucraina. Se tu blocchi l’invio di grano, aumenti l’inflazione e la disoccupazione, è ovvio che un popolo alla fame cercherà di scappare in Europa. Ma voi credete davvero che le guerre si combattano solo con le armi convenzionali? La Russia sta creando una vera e propria “bomba migratoria” per mettere in difficoltà l’Europa. Provate a pensare se a un certo punto dovesse incendiarsi la situazione politica nel Nord Africa. Sarebbe un disastro per l’Europa e soprattutto per l’Italia che è in prima linea nel Mediterraneo». Mi domando perché il ministro Crosetto non abbia già inviato fregate e cacciatorpediniere per contrastare una strategia di guerra ibrida attuata da un governo straniero. Il famigerato blocco-navale, promesso per anni dalla Meloni, dovrebbe esser decretato oggi stesso se dalle parti del centro-destra si crede davvero alle parole di politici non certo di primo pelo sulla strategia russa sui migranti. Perché non è il solo Romeo a sostenere tale tesi. Crosetto, che all’epoca della guerra in Libia era sottosegretario alla Difesa, ha pronunciato parole simili: «Mi sembra che ormai si possa affermare che l’aumento esponenziale del fenomeno migratorio che parte dalle coste africane sia anche, in misura non indifferente, parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando, utilizzando il suo peso rilevante in alcuni paesi africani». Costui non è un opinionista, è il responsabile politico delle Forze armate italiane nonché della sicurezza nazionale.

I complottisti accusano la Russia

Dovrebbe agire al posto di commentare. Lo stesso dovrebbe fare il ministro degli Esteri, il capo della diplomazia italiana, quel Tajani che all’epoca dell’ignobile guerra in Libia era Commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria, ovvero era il politico italiano più importante della Commissione europea. Evidentemente anche lui non pensò alla tragica destabilizzazione che la guerra avrebbe portato in Libia, il nostro principale alleato nel Mediterraneo, quel paese con il quale il governo italiano aveva sottoscritto il Trattato di Bengasi prima di voltarsi dall’altra parte per obbedire ai soliti diktat della Casa Bianca e dell’Eliseo. Ebbene anche Tajani ha sposato la linea-Wagner per giustificare il boom degli sbarchi. «In un Paese senza il controllo di una autorità centrale come la Libia, i mercenari della Wagner, dopo aver sostenuto una delle parti nella guerra civile del 2019, sono rimasti in molte zone. Noi abbiamo indicazioni che li dicono molto attivi e in contatto con bande di trafficanti e di miliziani interessati al traffico di migranti. La Wagner ha un ruolo diretto nella destabilizzazione della Libia, e non hanno paura di nessuno: in Ucraina stanno combattendo rivaleggiando con il ministero della Difesa regolare, sono in contrasto con i capi militari di Putin, e anche questo è sotto gli occhi di tutti». A questo punto è lecito domandarsi se il responsabile della bomba migratoria sia Putin o, al contrario, siano i mercenari della Wagner, perché non è la stessa cosa. E ce lo dice Tajani tra l’altro. Tajani ha compreso che insistere in eterno sul piano Marshall per l’Africa, come ha fatto nei primi tre mesi di governo, alla fine non paga. Anche perché nell’attesa che tale piano, come Godot, arrivi sulle scrivanie dei commissari europei, decine di migliaia disperati continuano a sbarcare e a morire. Ed il mancato negoziato in Ucraina, un negoziato che nessun esponente del governo osa cercare, ha a che fare con la crisi sociale ed economica in Africa sub-sahariana o in Nord Africa. Dunque, ha a che fare con l’aumento delle partenze. Tajani evidentemente non l’ha compreso o forse è costretto a far finta di non comprenderlo. Per questo se la prende con la Wagner o con l’assenza di controllo di un’autorità centrale in Libia, assenza favorita da quella guerra che il suo partito avallò, compresa colei che presiede l’attuale governo, quella Giorgia Meloni che quando Berlusconi approvò l’intervento in Libia era ministro della Repubblica, non l’ultimo degli uscieri. La Meloni oggi preferisce parlare più di Wagner che di blocco-navale. «Forse sarebbe più facile mettere la testa sotto la sabbia, lasciare che siano dei mafiosi a decidere chi deve arrivare da noi, lasciare che arrivi da noi solo chi ha soldi per pagare quei mafiosi, lasciare che in Africa continuino a prendere piede i mercenari della Wagner e i fondamentalisti». Wagner e fondamentalisti, insomma. Ottima strategia mediatica per discolparsi. Tornano alla mente, dunque, la parole di Gheddafi«Se cado io, il Paese finirà in mano ai jihadisti». In effetti in Libia il fondamentalismo ha preso piede proprio con la caduta di Gheddafi. Al Qaida prima e lo Stato Islamico poi, hanno sfruttato il vuoto “politico” creatosi con il brutale assassinio del rais per radicarsi e radicalizzarsi. La stessa cosa hanno fatto i mercenari della Wagner (è giusto chiamarli così a patto che si abbia il coraggio di chiamare allo stesso modo anche i soldati delle compagnie militari private made in USA, quelli che ipocritamente la stampa nostrana definisce “military service providers“). Nel 2011 la Wagner neppure esisteva. Venne fondata nel 2014 per consentire al governo russo di portare avanti azioni militari senza dover render conto alla pubblica opinione. Esattamente quel che gli USA hanno fatto in Afghanistan e Iraq sebbene quasi nessuno dalle nostre parti sembra essersene reso conto.

Immigrazione – “Meglio mentire che assumersi le proprie responsabilità”

Ad ogni modo oggi la Wagner in Libia esiste. Alcuni mercenari controllano piccole porzioni della Cirenaica dove, in realtà, chi comanda sono le truppe fedeli al generale Haftar o quelle legate all’Egitto di Al Sisi, nostro “alleato” al quale la Meloni (e in precedenza altri presidenti del Consiglio) non ha il coraggio di chiedere conto davvero dell’assassinio Regeni, figuriamoci dei disgraziati spinti ad imbarcarsi. Tra l’altro, per quel che concerne le partenze verso l’Italia, la regione più “calda” della Libia è la Tripolitania, non la Cirenaica. In Tripolitania la Wagner non c’è, in compenso ci sono i nostri soldati (soprattutto a Misurata) nonché decine di lager dove sono rinchiusi migliaia di disperati in condizioni disumane. Il lager di Al Harsha, per esempio, non si trova in Cirenaica ma in Tripolitania, esattamente 50 km a ovest di Tripoli. Verso la Tunisia per intenderci. Lì il controllo del territorio (se di controllo possiamo parlare) ce l’hanno le autorità di Tripoli, quelle riconosciute dal nostro governo tra l’altro. A proposito di Tunisia, una parte consistente di disperati parte proprio dalle coste tunisine. Non si tratta solo di tunisini. Molti migranti provengono dall’Africa sub-sahariana. Si erano rifugiati in Tunisia ma adesso stanno lasciando il Paese in massa per via delle condizioni socio-economiche disastrose e per via della politica repressiva del Presidente Kaïs Saïed il quale, come un Tajani, un Crosetto o una Meloni qualsiasi, per giustificare il tracollo del proprio Paese, non potendo prendersela con la Wagner (anche in Tunisia conoscono il senso del ridicolo) se la prende con i migranti. Il solo modo per affrontare il dramma dei flussi migratori è analizzare le cause. Il neo-colonialismo strisciante, quello che Sankara definiva “imperialismo finanziario”, i cambiamenti climatici che prosciugano i fiumi padani figuriamoci quelli africani.

I complottisti accusano la Russia

Le guerre di invasioni mascherate da missioni di pace, come quella in Afghanistan per le quale nessuno ha mai pagato politicamente. Anzi, coloro che si permettono di dare dei filo-putiniani a tutti quelli che invocavo un negoziato in Ucraina sono gli stessi che per anni hanno dato dei filo-talebani a coloro che lottavano contro quella guerra oscena. Anche allora hanno provato a venderci l’intervento militare in Afghanistan come una guerra di civiltà con il bene da una parte ed il male dall’altra. Poi con il “male”, con i talebani, sono stati i paladini del bene a trattare dopo aver sventrato il Paese e dopo averli addirittura rafforzati politicamente e militarmente. Anche la questione palestinese ha a che fare con i flussi migratori. Migliaia di palestinesi che pagherebbero oro per poter tornare in Palestina nonostante l’apartheid che il governo israeliano realizza “democraticamente” ogni giorno, stanno lasciando in massa i campi profughi in Libano perché le condizioni del Paese negli ultimi due anni sono peggiorate sensibilmente. Ma nessuno dalle parti del governo osa parlare della questione palestinese, dell’apartheid che subisce il popolo più martoriato della terra, del diritto al ritorno negato o delle conseguenze della guerra che procura in Siria. Meglio mettere la testa sotto la sabbia, per utilizzare l’espressione meloniana, ancor di più se sotto la sabbia c’è gas o petrolio egiziano. Ci vuole fegato per affrontare le cause dell’immigrazione. E ci vorrebbe anche un briciolo di sano sovranismo. Ciò che manca al governo degli ex-sovranisti, che preferiscono mentire piuttosto che assumersi le proprie responsabilità. D’altronde quando le cause dell’immigrazione sono visibili quanto la luna, gli irresponsabili indicano la Wagner.

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La storia al contrario

Il terrorismo israeliano e lo “spazio vitale” nazional-sionista. Nell’articolo principale Alessandro Di Battista sottolinea come sia «triste constatare quanto i discendenti delle vittime dell’Olocausto stiano, giorno dopo giorno, assomigliando sempre più ai peggiori carnefici della Storia». Greta Cristini analizza geopoliticamente i possibili scenari, mentre Luca Steinmann e Valerio Nicolosi ci raccontano la vita in Libano e in Cisgiordania con i loro reportage. All’interno Line-up, Un Podcast per capello, Ultima fila e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Alessandro De Dilectis, Riccardo Cotumaccio, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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