La crisi climatica devasta il Pakistan

Il governo del Pakistan ha proclamato lo stato di calamità naturale per le persistenti e intense piogge monsoniche e le alluvioni che hanno devastato il Paese. I primi giorni di settembre le autorità lanciano un allarme: il lago Manchar, il più grande della nazione, rischia di esondare.  È lo spettro di un’ulteriore catastrofe naturale, a pochi giorni di distanza dalla più grande alluvione della storia del Paese. Le piogge monsoniche record e lo scioglimento dei ghiacciai hanno provocato, nel mese di agosto, inondazioni impressionanti che hanno colpito 33 milioni di persone e provocato almeno 1355 vittime, tra cui 458 bambini. Se il lago esondasse, altre 100mila persone rimarrebbero senza casa. Inoltre l’area a sud della nazione – dove si trova il lago – produce la metà del cibo del Pakistan e il 90% dei suoi raccolti è già andato distrutto a causa dell’alluvione di agosto.

Ancora sconosciuta l’entità dei danni

I monsoni tre volte più forti della norma hanno devastato il territorio. Le piogge sono state addirittura cinque volte più forti del solito in alcune province come il Balochistan e il Sindh. La pioggia caduta nel solo mese di agosto supera del 241% la media del periodo. Le immagini parlano da sé: tetti sventrati, abitazioni distrutte, edifici galleggianti, interi villaggi sommersi da fiumi di acqua e fango. Madri, padri, bambini, famiglie intere costrette a fuggire senza destinazione salvando dall’acqua quel poco che è rimasto intatto. A settimane di distanza ancora non è possibile quantificare i danni in modo preciso. Sicuramente le precipitazioni hanno avuto una portata straordinaria, ma le conseguenze sono state ancora più impattanti a causa della siccità dei mesi precedenti che ha causato lo scioglimento dei ghiacciai e quindi il deflusso di grandi quantità di acqua sui terreni. Quasi un milione di case sono state distrutte o danneggiate. Le vittime potrebbero arrivare fino a 1500 e sono oltre 420 mila gli sfollati.  Migliaia di persone sono ancora disperse, almeno 1/7 della popolazione pakistana è stata colpita dalla catastrofe naturale e 6,5 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Per non parlare dei danni all’agricoltura e agli allevamenti.

La crisi climatica devasta il Pakistan

Due milioni di ettari di colture e frutteti sono stati devastati e quasi 800 mila capi di bestiame sono morti, inghiottiti dal fango. Perdite che avranno un impatto enorme sull’economia del Paese, che vive da mesi una crisi economica rilevante. Oltre ai villaggi e agli edifici sono stati demoliti dall’impeto dell’acqua anche uno dei più antichi insediamenti umani preservati al mondo (Moenjodaro, patrimonio Unesco) e molte infrastrutture come strade, ponti, scuole, ospedali e strutture sanitarie. Almeno 5000 km di strade distrutte e 243 ponti crollati. Ciò vuol dire che è ancora più difficile raggiungere molte zone per fare una conta effettiva dei danni e delle vittime, oltre che per fare arrivare i beni essenziali ai superstiti. Nelle regioni di Sindh e Balochistan, le più flagellate, il 25% della popolazione è sfollata e più della metà non ha accesso all’acqua potabile. “Stiamo usando barche, cammelli, qualunque mezzo disponibile per consegnare aiuti nelle aree più critiche” ha affermato Faisal JKhan, amministratore della provincia montuosa di Khyber, gravemente colpita.  

La salute a rischio

La natura lancia campanelli di allarme sempre più evidenti di quanto il clima stia cambiando. Le conseguenze disastrose rivoluzionano non solo interi paesaggi, ma si riversano sulla vita delle popolazioni che li abitano. L’acqua che ha sommerso il Pakistan è una grande fonte di rischio per la salute dei suoi abitanti perché contribuisce alla rapida diffusione di malattie mortali come il colera, la dengue e la malaria, favorite dal binomio umidità e alte temperature. Ancor di più nel caso, come questo, in cui i servizi igienici sono in gran parte divenuti inadeguati. Fonti locali hanno fatto sapere che nelle settimane successive agli straordinari monsoni si sono già rilevati casi di malattie legate all’acqua, come infezioni della pelle e respiratorie. La situazione è preoccupante, considerando che in Pakistan lo stato di salute medio della popolazione era già piuttosto critico. Considerando che nelle aree colpite il 30% del sistema idrico è stato danneggiato il rischio che la situazione peggiori è molto alto. Il 40% dei bambini soffrivano di malnutrizione cronica prima che le inondazioni colpissero il Paese e secondo L’UNICEF oltre tre milioni di bambini hanno bisogno di assistenza sanitaria. Ma non c’è solo l’aspetto sanitario che preoccupa. Un evento catastrofico di tale portata comporta danni significativi anche per lo sviluppo socioeconomico. Tra le infrastrutture danneggiate e quindi inaccessibili ci sono 17.566 scuole. Una cifra allarmante se si considera che un terzo delle ragazze e dei ragazzi – prima dell’alluvione – non andavano a scuola.

Un impegno internazionale

Secondo gli esperti le alluvioni di quest’anno sono paragonabili a quelle del 2010 – considerate le peggiori della storia – in cui morirono oltre duemila persone. L’evento è stato sconvolgente per la sua portata, tuttavia piogge di forte intensità non sono atipiche in Pakistan, anzi. Il Paese è all’ottavo posto nell’indice globale di rischio climatico nella lista degli stati ritenuti più vulnerabili alle condizioni metereologiche estreme, compilata dall’Ong ambientalista Germanwatch. In pochi giorni diverse organizzazioni si sono mosse in sostegno del Paese alluvionato. L’intervento dell’Onu è stato pressoché immediato, proprio pochi giorni fa il segretario generale, Antonio Guterres, si è recato in Pakistan per visitare le aree colpite. Nel frattempo l’Organizzazione ha lanciato un appello per raccogliere 160 milioni di dollari per fornire a 5,2 milioni di persone cibo, acqua, materassini per dormire, teloni, set da cucina ma anche istruzione e sostegno sanitario. Gli aerei che trasportano rifornimenti da tutto il mondo hanno formato un ponte aereo umanitario, con decine di mezzi partiti da Emirati Arabi, Cina, Qatar, Turchia, Uzbekistan e altri Paesi. Solo gli Stati Uniti hanno annunciato che forniranno 30 milioni di dollari di aiuti alle vittime. L’UNICEF ha provveduto a consegnare 32 tonnellate di aiuti salvavita, tra cui acqua potabile, compresse per la depurazione dell’acqua, kit per l’igiene, medicinali, vaccini, zanzariere, farmaci per bambini e donne in gravidanza.

La crisi climatica devasta il Pakistan

Anche l’Ong “Azione contro la fame” – presente in Pakistan dal 1979 – ha inviato sul campo una squadra di operatori umanitari che stanno fornendo aiuti soprattutto nella regione di Sindh e Balochistan, particolarmente colpite dal monsone. Non ancora rilevante il sostegno arrivato dall’Italia, dove in queste settimane i cittadini originari del Pakistan hanno raccolto e donato una somma che supera il contributo stanziato dal Governo italiano come segno di solidarietà internazionale: 500.000 euro versati a sostegno della Croce e della Mezzaluna Rossa Internazionale. Il coordinatore delle Nazioni Unite in Pakistan Julien Harneis ha sottolineato che “questa super alluvione è causata dal cambiamento climatico: le cause sono internazionali e quindi la risposta chiede solidarietà internazionale”. Tuttavia gli esperti hanno spiegato che una parte delle responsabilità è da additare alle autorità locali.

La crisi climatica devasta il Pakistan

In un contesto di corruzione, scarsa pianificazione e violazione delle norme, molti edifici pubblici e privati sono stati costruiti laddove era già noto l’elevato rischio di inondazioni. Un’irresponsabilità dovuta, forse, alle poche risorse scientifiche, tecnologiche e economiche di cui dispone il Paese. Il Segretario generale dell’Onu Guterres ha sottolineato che l’Asia meridionale è uno dei punti caldi della crisi climatica globale e gli abitanti di queste aree hanno una probabilità 15 volte maggiore di morire a causa degli impatti climatici, pertanto è urgente lavorare collettivamente per  rispondere in modo rapido e collettivo a questa crisi colossale. “Smettiamola di camminare come sonnambuli verso la distruzione del nostro pianeta”, ha detto Guterres, “oggi è il Pakistan. Domani potrebbe essere il tuo paese”.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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