La marcia indietro di Prigozhin

La Wagner ha dato vita alla sua marcia verso Mosca per “esprimere una protesta” e “non per rovesciare il governo del Paese”. A parlare dal suo canale Telegram, nel pomeriggio di lunedì 26 giugno, è Yevgeny Prigozhin, fondatore della società di contractor militari Wagner Group, dopo quasi due giorni di silenzio in cui è successo di tutto. Un lungo messaggio audio di undici minuti nel quale l’ex chef di Putin ha spiegato che non era sua intenzione rovesciare il governo russo ma protestare contro il decreto del Ministro della Difesa russo Sergey Shoigu, che indebolisce la Wagner. Nella sua versione dei fatti, Prigozhin denuncia la decisione delle autorità di sciogliere la Wagner il 1° luglio a seguito di “intrighi”. E poi parla della marcia organizzata verso Mosca che aveva lo scopo di impedire proprio la “distruzione” della compagnia militare privata e chiamare alle loro responsabilità “quegli individui” che “hanno commesso un enorme numero di errori nell’operazione militare speciale” in Ucraina.

La marcia indietro di Prigozhin
Foto LaPresse

La marcia indietro di Prigozhin – Tutto in 24 ore

Per riavvolgere il nastro bisogna tornare alla notte tra venerdì 23 e sabato 24 giugno quando le notizie si rincorrono una dopo l’altra con quella che rimbalza sui media di tutto il mondo, Prigozhin sta guidando i suoi uomini a Rostov sul Don, il maggiore centro logistico per i russi che combattono in Ucraina nel sud del Paese, per impossessarsi del quartier generale del distretto militare meridionale e poi marciare verso Mosca. Le truppe della Wagner sono dirette a nord, attaccano i siti militari di Voronež nella Russia sud-occidentale a poco più di 500 km da Mosca, spingendosi fino a circa 200 km dalla capitale russa. Tanto da far scattare il regime antiterrorismo nella città e nelle regioni di Mosca e Voronež, dopo aver avviato un procedimento penale contro Prigozhin per rivolta armata. Poi il dietrofront per evitare il bagno di sangue che sarebbe seguito a un ulteriore avvicinamento alla capitale, e la mediazione del Presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che ha offerto di trovare una soluzione “per la continuazione delle operazioni della Wagner in una giurisdizione legittima”. “I neonazisti – ha scandito il Presidente russo Vladimir Putin in un messaggio tv alla nazione trasmesso nella serata del 26 giugno – volevano che i soldati russi uccidessero altri russi, che la nostra società si spaccasse, soffocasse nel sangue. Invece tutti i nostri militari, i nostri servizi speciali, sono riusciti a conservare la loro fedeltà al loro Paese, hanno salvato la Russia dalla distruzione”. Un discorso durato non più di cinque minuti, come quello di sabato mattina in cui il Presidente aveva denunciato il “tradimento” mentre le milizie della Wagner si dirigevano verso Mosca; nessuna parola per Prigozhin ma un’offerta diretta ai miliziani della Wagner, dare loro la possibilità di trasferirsi in Bielorussia senza dover essere processati, oppure di mettersi al servizio del ministero della Difesa.

La marcia indietro di Prigozhin – Il ritratto

Definirlo il volto del capo della società di contractor militari Wagner Group sarebbe riduttivo, chiamarlo lo “chef di Putin” troppo poco: Yevgeny Prigozhin, classe 1961, nasce e cresce in Unione Sovietica, a Leningrado, oggi San Pietroburgo, si diploma in un collegio di atletica leggera e due anni dopo la fine della scuola, secondo quanto ha riportato il media russo investigativo Meduza, viene condannato a una pena sospesa per furto. Nel 1981 i guai con la giustizia sono di nuovo dietro l’angolo, questa volta la condanna a 12 anni di reclusione è per rapina, coinvolgimento di adolescenti nella prostituzione e frode. Anche se alla fine sconterà dietro le sbarre solo 9 anni. Poi la svolta, sempre nella sua città natale, la stessa di Vladimir Putin, dove Prigozhin riesce in poco tempo a creare un piccolo impero di bancarelle e chioschi di hot dog fino agli investimenti nella prima catena di distribuzione di alimentari di San Pietroburgo (Contrast) e al New Island, locale galleggiante sulle acque della Neva ispirata ai battelli ristorante. L’idea, poco elegante, piace però a Vladimir Putin, che comincia a organizzare nel ristorante cene e pranzi con i leader stranieri. E a dare sempre più notorietà a Prigozhin, tanto da conquistarsi il soprannome di “chef di Putin”. Tra le proprietà della società di catering di Prigozhin Concord, anche Russian Kitch, ristorante tipico russo tra i canali della Neva a pochi passi dal centro storico di San Pietroburgo, chiuso qualche anno fa per fare spazio al pub Street Food Bar n. 1 dove all’inizio di aprile è stato ucciso il blogger militare nazionalista russo Vladlen Tatarsky (il vero nome era Maxim Fomin). L’attentato sarebbe avvenuto durante uno dei tanti eventi organizzati dal Fronte Cyber Z sulla campagna militare russa in Ucraina, e dove Tatarsky era uno degli speaker principali. Nel 2002 pubblica persino un libro per bambini su un personaggio immaginario, Indroguzik, che “aiuta eroicamente il suo re a salvare il regno” – lo stesso Prigozhin ha dichiarato che il libro ha avuto una tiratura di sole 1.000 copie, distribuite in Russia tra personaggi famosi.

La marcia indietro di Prigozhin
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Passano gli anni e il volto dell’uomo, diventato ormai oligarca, oltre a essere vicino al Presidente russo, inizia a comparire anche nella lista dell’FBI dei 13 russi che avrebbero finanziato l’Internet Research Agency (IRA) di San Pietroburgo, la fabbrica dei troll che durante la campagna elettorale americana del 2016 ha diffuso sul web contenuti filorussi – Prigozhin è stato sanzionato per la prima volta dagli Stati Uniti per i suoi legami con l’IRA russa nel 2018 e accusato di cospirazione per frode agli USA. Negato ogni coinvolgimento di troll, falsi account e propaganda, con l’inizio della guerra nel Donbass nel 2014, il nome di Prigozhin viene sempre più accostato ai mercenari che la Russia invia nelle zone di guerra – secondo le prime indagini, avrebbe prima finanziato i separatisti nell’Ucraina orientale, per poi organizzare il suo esercito in Crimea e nelle province filorusse del Donbass, ingaggiando proprio gli uomini della Wagner. Le prime ricostruzioni sulla nascita della compagnia militare privata Wagner nel 2014 parlano di Dmitry Valeryevich Utkin come fondatore, colonnello in pensione dell’intelligence militare russa GRU, che omaggiò il compositore tedesco Richard Wagner per le sue simpatie neonaziste. Secondo l’Unione Europea, Utkin è “responsabile di azioni che hanno compromesso e minacciato l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina e ha realizzato attivamente tali azioni”. Come viene riportato nella documentazione dell’Unione pubblicata nel dicembre 2021, “nella sua posizione di comando all’interno del gruppo Wagner, [Utkin] è stato personalmente presente sul campo di battaglia in Ucraina, coordinando e pianificando le attività dei membri”. Dopo Utkin e dopo anni di smentite e misteri, successivamente all’inizio dell’operazione militare speciale e ai successi in Ucraina Prigozhin ha ammesso di esserne il leader, pubblicizzando sempre di più le sue attività, tra i video-denuncia e quelli dei trionfi, fino a quello che neanche lui è riuscito a chiamare “golpe”.

La marcia indietro di Prigozhin – La tragica fine di Evgeny Nuzhin

“I cani meritano morte da cani”, aveva commentato Prigozhin lo scorso novembre dopo l’esecuzione di Evgeny Nuzhin, combattente della Wagner che, dopo essere stato catturato dagli ucraini, è stato ripreso dalla sua stessa milizia di mercenari russi per essere poi giustiziato brutalmente quando i soldati russi hanno scoperto che l’uomo avrebbe avuto intenzione di passare con i nemici. Nel video choc diffuso su internet e intitolato Il martello della vendetta, la testa di Nuzhin, accusato di tradimento, è avvolta da una plastica trasparente a una pietra che, colpita da un martello, lo uccide all’istante. Reclutato da Prigozhin in persona dopo una visita in una prigione nella regione russa di Ryazan dove Nuzhin stava scontando una pena per omicidio, il combattente nato nel 1967 in Kazakhistan, dopo sette giorni di addestramento, il 25 agosto 2022 viene inviato nella regione di Luhansk e i primi di settembre in prima linea. Dopo soli due giorni, il 4 settembre dello scorso anno, Nuzhin decide di arrendersi e combattere al fianco degli ucraini: in diverse interviste rilasciate dopo la sua resa, aveva dichiarato di essersi unito alla Wagner solo per uscire di prigione e consegnarsi agli ucraini. “Per quanto riguarda colui che è stato ucciso a martellate – aveva commentato Prigozhin –, questo filmato mostra che [Nuzhin] non ha trovato la felicità in Ucraina, ha incontrato invece persone scortesi ma giuste. Penso che il titolo di questo video possa essere Il cane merita una morte da cane”. Non solo Nuzhin, nella sola battaglia per conquistare la cittadina ucraina di Bakhmut sarebbero morti 20mila uomini di Prigozhin, come lui stesso aveva detto in un video pubblicato su Telegram a fine maggio. Nonostante sia tuttora difficile verificare le cifre citate dal capo della Wagner, secondo il quale a Bakhmut sarebbero stati uccisi 10mila membri regolari del gruppo privato e 10mila ex prigionieri reclutati nei mesi precedenti nelle carceri russe per combattere in Ucraina, la composizione del piccolo esercito restituisce ancora una volta un macabro ritratto dei contractor più discussi al mondo.

(foto copertina LaPresse)

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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