Maureen, la sindacalista coraggiosa

Banlieue di Parigi. Interno giorno. Manca una settimana a Natale e Maureen Kearney si sta spazzolando a fondo i denti. La mollica di un croissant che ha mangiato a colazione le è rimasta impigliata tra i molari. Non riesce a toglierla, esattamente come un pensiero ricorrente che le annebbia la mente e che, ultimamente, le ha condizionato l’intera esistenza. Mentre rimugina a caccia di una soluzione, una calzamaglia le scende improvvisamente sul volto e, senza che abbia minimamente tempo di reagire, in una frazione di secondo, un pezzo di nastro adesivo le sigilla la bocca. Si sente trascinare verso il seminterrato e non riesce a opporre alcuna resistenza. L’uomo che l’ha presa in consegna le lega i polsi dietro la schiena e fissa le caviglie alle gambe della sedia. Senza battere ciglio, le incide chirurgicamente una “A” maiuscola sullo stomaco, poi sferra il fendente: con la stessa precisione millimetrica le pianta il manico di un coltello in mezzo alle gambe, proprio al centro dell’organo riproduttivo. Maureen rimane da sola nella stanza, geme per ore nel tentativo di liberarsi. È in stato di shock, quasi febbrile, quando la donna delle pulizie, dopo ore, la ritrova stremata nel seminterrato: è letteralmente ma anche metaforicamente sottoterra. Maureen lavora per Areva, un’azienda francese leader nel campo dell’energia nucleare, dove svolge anche il ruolo di rappresentante sindacale (il CFDT) al terzo mandato. In poche ore, però, passa da vittima a pazza. Lei e il marito (Gilles Hugo, conosciuto in una vacanza in Francia negli Anni ’80) vengono ammanettati e portati in questura dove occupano due stanze separate. “Mi lasciano da sola in una stanza dove arriva questa persona che mi dice: ‘non mi piace la gente come te, o dici che ti sei inventata tutto o faremo in modo che la tua famiglia non si riprenda mai (dal male che le faremo)’. Pensai subito a mia figlia e mia nipote: ero pronta a dire che ero Jack lo Squartatore se questo avesse potuto contribuire a proteggerle”. La “sindacalista” irlandese viene sottoposta a dieci lunghissime ore di interrogatorio senza cibo né acqua e con un forte dolore alla spalla, spiacevole lascito dell’aggressione. Anche quando deve espletare le funzioni primarie, gli agenti le impongono di lasciare la porta aperta: un’umiliazione totale.

Maureen, la sindacalista coraggiosa – Il cervello in un barattolo

I giornali hanno finalmente gettato luce sull’affaire segreto, ma per Maureen è solo l’inizio di un calvario lungo sei anni. Si va a processo e l’accusa annovera la sua passione per i gialli e un tentativo di suicidio come prove della sua presunta infermità mentale. Non basta, perché pure il fatto che non indossi biancheria intima sotto le calze viene considerato un altro indizio rilevante (“come se fosse qualcosa di poco normale o rispettabile”). Un ginecologo viene chiamato a testimoniare l’espulsione del manico del coltello dalla vagina di Maureen, la quale viene persino sottoposta ad almeno tre test ginecologici da parte di medici uomini; in uno di questi, si decide di simulare l’aggressione nel modo più realistico possibile tanto che la Kearney viene legata a una sedia, mentre le infilano uno specolo. “Piangevo, ero isterica e non volevo rivivere quel trauma, mi violentarono una seconda volta”. Maureen fece subito ricorso ma ci vollero sei anni prima che potesse presentarsi in appello. Un lustro e un altro anno: un tempo infinito nel quale si macerava dentro e fuori. Difficilmente riusciva a dormire per più di novanta minuti consecutivi: gli incubi la svegliavano ogni volta.

Maureen, la sindacalista coraggiosa

Difficilmente riusciva a mettere qualcosa sotto i denti: perse ben dodici chili passando dai 55 ai 43. “C’erano dei momenti in cui mi sentivo completamente aliena al mio corpo, tanto che agli amici dicevo che avrebbero potuto prendere il mio cervello e metterlo in un barattolo sullo scaffale e non avrebbe fatto alcuna differenza”. In appello venne fuori che Maureen non avrebbe potuto legarsi le mani da sola dietro la schiena visto che si era lesionata i tendini della spalla destra e la mattina dell’aggressione si era sottoposta a una risonanza magnetica preoperatoria. Uno psichiatra militare specializzato in traumi aveva deposto a favore della “sindacalista”, testimoniando che era stata senza dubbio aggredita da qualcuno. Tutto questo perché, nel 2011, la Kearney era stata decisiva nel bloccare un principio di accordo tra la sua azienda, EDF (la più importante azienda elettrica francese) e i cinesi della Guangdong Nuclear Power Company. Le trattative erano andate avanti in segreto però, tanto che nell’autunno del 2012 aveva ricevuto una lettera anonima contenente la bozza di contratto tra i dirigenti delle tre aziende: l’accordo prevedeva un pericoloso travaso di conoscenze tecnologiche dalla Francia alla Cina, oltre che il taglio di più di cinquantamila posti di lavoro. La dipendente di Areva aveva deciso di segnalare la situazione, pubblicando la foto del giorno della firma.

Maureen, la sindacalista coraggiosa – Un’inchiesta dettagliata

Una storia vera che ha ispirato un libro, La syndacaliste, della giornalista Caroline Michel-Aguirre della rivista L’Obs. Nella sua inchiesta, Michelle-Aguirre apprese che un’altra donna, Marie-Lorraine Boquet, aveva subito un attacco praticamente identico. La Boquet era sposata con un informatore di Veolia, leader mondiale nella fornitura di impianti e soluzioni per il trattamento delle acque. “Non le hanno creduto per 17 anni spiega la Kearney – anche a lei avevano detto che era pazza, che si era inventata tutto”. I dossier di entrambi i casi sono misteriosamente scomparsi. Maureen dice che a lei sono stati fatti i nomi delle persone che hanno disposto l’aggressione nei suoi confronti ma visto che si tratta di alte cariche di aziende a partecipazione statale non ha minimamente intenzione di svelarli. Insomma, le persone che hanno attentato alla sua vita, rovinandola, sono rimaste impunite.

Da questa angosciante e fedele ricostruzione è stato girato un film con la regia di Jean-Paul Salomé (Belfagor, Lupin e La Padrina) e Isabelle Huppert (più di 100 film e produzioni tv) nei panni di Maureen Kearney: La syndacaliste nella versione francese, The sitting duck in quella inglese e La verità secondo Maureen K nella versione italiana, in uscita nel nostro Paese il 21 settembre. Oltre all’intreccio che parte dalla presunta follia della protagonista, la vera differenza sta nelle reazioni dell’attrice: “Mi sono sentita uno zombie per tanto tempo, mentre Isabelle è molto svelta ed è sempre pronta all’azione, una qualità che io all’epoca non avevo proprio più”. Lo scorso autunno, nel corso di una proiezione del film, Maureen si è dovuta momentaneamente assentare; prima di tornare in sala, ha effettuato una serie di esercizi respiratori per distendere i nervi: “Quando vedi sei anni della tua vita condensati in appena due ore… non ce la facevo a guardare, ero preoccupata per mia figlia”.

Maureen, la sindacalista coraggiosa – Le altre Maureen

Nel mondo reale, intanto, Clémentine Autain, una parlamentare del partito di estrema sinistra Francia Indomita, ha aperto un’inchiesta per indagare sull’inefficienza del sistema giudiziario nei casi di Kearney e Boquet. Il tutto è aggravato dal fatto che, secondo l’Insee (l’istituto nazionale di statistica) meno dell’1% degli stupri e dei tentativi di stupro in Francia sfocia in una condanna. È effettivamente molto difficile rimanere indifferenti a due storie come queste, soprattutto per il contesto di una (teorica) democrazia occidentale del XXI secolo. Non è invece difficile credere che Maureen Kearney abbia perso fiducia nelle istituzioni francesi, pur avendo ancora fiducia nei francesi. Oltre 400 colleghi all’Areva, per esempio, le hanno scritto per manifestare il loro appoggio morale e il sindacato le ha pagato tutte le spese legali: “Si è innescata una catena di solidarietà e, se mi guardo indietro, è stata la cosa più bella”. Quando è stata assolta, il marito e gli amici hanno fatto i salti di gioia. Lei no: “Io ero distrutta, devastata ma è lì che ho iniziato a ricostruire”. Maureen infatti adesso lavora con le donne che sono state vittime di violenze: “Le facciamo parlare di quello che hanno passato e, se possibile, glielo facciamo anche scrivere, altrimenti loro parlano e io scrivo per loro. La prima cosa che gli diciamo sempre è ‘noi vi crediamo’ e questa credo che sia la cosa più importante da ascoltare. In più, il messaggio che io personalmente ci tengo a far passare è che la situazione si può superare pur essendoci tanto dolore; ma se si va avanti si riesce a uscire dal tunnel. Non sarai mai più la persona di prima, ma puoi comunque vivere una vita dignitosa. Io adesso riesco ad apprezzare di nuovo le cose belle della vita, anche se ho perso sei anni della mia esistenza”. In altri ambiti, le stesse strategie intimidatorie l’ha vissute anche Brandy Vaughan, ex impiegata (e poi whistleblower e “oppositrice”) della farmaceutica Merck: in un video girato da lei (prima di morire a 44 anni nel dicembre del 2020), descrive la tortura mentale e gli smaliziati attacchi subiti, come quando in una conversazione telefonica disse che si sentiva una sitting duck, un bersaglio inerme (che poi è il titolo del film in inglese), e il giorno dopo sul tavolo in giardino trovò una papera. Hiroko Kuniya, storica giornalista giapponese famosa per le domande scomode, venne improvvisamente sollevata dall’incarico durante il mandato del Primo ministro Abe. Ma la verità secondo Maureen K è che per ogni Brandy che muore, c’è sempre una Maureen pronta a rinascere.

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