Perché Wimbledon è il miglior torneo al mondo

Storia e tradizione. Inutile cercare parole che possano descrivere meglio il torneo di Wimbledon. L’essenza stessa del gioco del tennis. Radici che affondano nel terreno e che a distanza di decenni si nutrono della spettacolarità di quell’erba unica al mondo. Il fascino e l’emozione di chi può vantare di aver vinto almeno una partita su quel prato, che è stato teatro di incontri epici, diventati leggendari anche se consumati pochi anni fa. Perché la bellezza di questo torneo rivive di anno in anno. Ogni volta con nuovi colpi di scena, ogni volta con fattori imponderabili, ogni volta con delle storie che in alcuni casi sono anche difficili da raccontare. Bellezza ed eleganza, sacrificio e sudore. Tutto grazie a una rete che divide due metà del campo e una pallina che può rimbalzare da una parte o dall’altra. Chi disse: “Preferisco avere fortuna che talento”, percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde. Ecco, a Wimbledon questa citazione di “Match Point“, celebre capolavoro di Woody Allen, acquisisce maggior potenza.

Tutto quello che avreste voluto sapere su Wimbledon* (*ma non avete mai osato chiedere)

Il torneo di Wimbledon deve il suo nome al quartiere di Londra che lo ospita. Dal 1922 si disputa a Church Road – all’All England Croquet and Lawn Tennis Club – ma le prime edizioni della competizione ebbero luogo a Worple Road, nel lontano 1877, quando a gareggiare erano solo atleti maschi. A trionfare quell’anno fu l’inglese Spencer Gore, che ebbe la meglio del connazionale William Marshall (finì tre set a zero: 6-1 6-2 6-4). Per assistere a un incontro tra donne si dovette aspettare altri sette anni: nel 1884 infatti venne sorteggiato il primo tabellone. La finale si disputò tra due sorelle, Maud e Lilian Watson, con la vittoria della prima per 6-8, 6-3, 6-3. Un segno del destino quando nel 2002 successe la stessa cosa. Ad affrontarsi nell’ultimo atto furono Venus e Serena Williams. Una coincidenza che divenne una regola: la stessa finale venne giocata anche nel 2003, nel 2008 e nel 2009 (tre le vittorie di Serena, una sola di Venus).

Perché Wimbledon è il miglior torneo al mondo

Le regole vanno rispettate, sempre!

Bisogna partire da un assunto. Wimbledon non è per tutti, o almeno questa era l’idea di partenza. Trasmesso in diretta per la prima volta dalla BBC il 21 giugno 1937, il torneo è l’unico dei quattro dello Slam a disputarsi ancora sull’erba (100% perennial ryegrass, tagliata a 8 millimetri), dopo che gli Us Open hanno abbandonato il verde nel 1975 e gli Australian Open nel 1988. Ma a rendere così speciale la competizione è tutto il cerimoniale che c’è dietro. Partiamo dal discorso cromatico. I colori tradizionali sono il verde e il viola, dominanti anche a bordo campo e sugli spalti. Mentre l’unico sponsor presente (e visibile) è Rolex, che dal 1978 con il suo cronometro rende iconico il torneo sull’erba londinese. Ma a destare la curiosità della maggior parte degli spettatori è il dress code. E qui la domanda sorge spontanea: perché a Wimbledon tutti i giocatori sono costretti a vestirsi di bianco? Nasce tutto da un problema estetico, più specificatamente di sudorazione.

La scelta di non utilizzare colori sgargianti, oppure il nero, risale alla fine dell’800. All’epoca era indecoroso che il sudore degli atleti ‘macchiasse’ le divise da gioco. Per questo si optò per il colore bianco. Sempre e comunque. Ne sanno qualcosa anche i più grandi giocatori della storia, che per non aver rispettato in modo rigido il regolamento, sono stati costretti a pagare multe salate. L’esempio più emblematico è quello di Federer, che nel 2013 dovette cambiare le scarpe in quanto le suole erano di color arancione, in aperta violazione con il codice del torneo. Ma non è solo una questione di completini. Anche la pallina con gli anni ha dovuto cambiare colore. Inizialmente erano bianche, ma divennero gialle per ragioni televisive: in assenza di colori, infatti, erano difficili da individuare sullo schermo delle tv.

I più grandi di sempre

Una questione di sangue, di dna. Ma anche di grandi imprese. Il primato è del re incontrastato sull’erba. Sir Roger Federer, che a Wimbledon ha trionfato in ben otto occasioni. Lo svizzero ha superato due leggende come William Renshaw e Pete Sampras (7), mentre a 6 c’è un altro mostro sacro come Novak Djokovic. Meritano una menzione speciale anche i 5 successi di Bjorn Borg e Laurie Doherthy. Fra le donne sola al comando c’è Martina Navratilova, che sul prato di Londra ha vinto 9 volte, davanti a Helen Wills Moody con 8, mentre a 7 ci sono Serena Williams e Steffi Graf. Quando si parla di Wimbledon però non si può non parlare di uno dei fondamentali che da sempre fanno la differenza nel gioco del tennis: l’ace. In questo nessuno può essere paragonato a John Isner. Basti pensare che nel 2018 ne realizzò 214, di cui 53 soltanto nella semifinale persa contro Kevin Anderson. Ma il record ancor più spaventoso dell’americano è quello dei 113 punti ottenuti col servizio nella leggendaria maratona di tre giorni contro Nicolas Mahut. Era il 2010 quando i due tennisti restarono in campo per ben 11 ore e 5 minuti, di cui 491 minuti (cioè 8 ore e 11 minuti) solo nel set finale, chiuso sul 70 a 68.

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In quella occasione vennero giocati complessivamente 980 punti. Per questo motivo dal 2019 si è deciso che al quinto set venisse disputato un tie-break tradizionale, ma non sul 6-6 bensì sul 12-12. Per restare in tema di record: Bjorn Borg ha tuttora la migliore percentuale di successi a Wimbledon col 92,73%, davanti a Pete Sampras (90%) e Roger Federer (88,79%). Dal 2003 in poi il torneo è diventato solo una questione tra i “Fab Four”: nessuno all’infuori di Andy Murray, Rafael Nadal, Novak Djokovic e Roger Federer ha mai vinto lo Slam più antico del tennis (nel 2020 non si è giocato a causa del covid). L’ultima volta risale al 2002, quando l’australiano Lleyton Hewitt superò in finale l’argentino David Nalbandian. A livello di nazionalità il primato tra i maschi rimane nelle mani della Gran Bretagna, con 37 successi, anche se prima di Andy Murray (2013 e 2016), l’ultimo britannico a trionfare fu Fred Perry, 77 anni prima, nel 1936.

Centre Court, il tempio del tennis

Una storia lunga cent’anni e passa. Il mitico Centre Court ormai è stato eletto a tempio del tennis, come Wembley per il calcio. Uno stadio da 15 mila posti che dal 2009 è stato dotato di un tetto retrattile e che può ospitare le partite solo fino alle ore 23 per un accordo con la popolazione locale. Anche se in una circostanza venne fatta un’eccezione. L’episodio risale al 2012, quando Murray riuscì a piegare definitivamente Baghdatis alle 23:02. Ma al di là dei miti e delle tradizioni, quest’anno si è voluto celebrare il centenario del Centre Court durante lo svolgimento del torneo. Un omaggio che ha visto protagoniste le più grandi leggende di questo sport, compreso Roger Federer, chiamato in campo da John McEnroe. Una standing ovation per l’otto volte campione di Wimbledon, che dal 2003 al 2017 ha segnato un’epoca sull’erba di Londra. “Sono stato fortunato, ho giocato tante partite sul Centrale – ha dichiarato lo svizzero – È strano essere qui in un ruolo diverso. Vedere tanti campioni su questo campo, in cui ho vinto e perso tanto. Spero di aver rappresentato bene questo sport e spero di tornarci”. Non si arrende Re Roger: “Ho sentito la mancanza di Wimbledon – ha ammesso l’ex numero uno del mondo – Sapevo che avrei dovuto affrontare un anno difficile, il ginocchio mi ha fatto soffrire. Non sapevo come mi sarei sentito a fare questo viaggio, ora sono contento”.

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Le antiche tradizioni

Abitudini, consuetudini, usanze. Fino al 2003 i tennisti, dopo essere entrati sul terreno di gioco, erano tenuti ad inchinarsi guardando il Royal Box. La norma è poi stata limitata alla sola presenza del principe di Galles, Carlo, e della Regina Elisabetta. E per i vincitori? Gli uomini ricevono una coppa in argento dorato originale, con l’elenco di tutti i campioni del passato. È un trofeo alto 47 centimetri e del diametro di 19, ma viene restituita al Club dopo la premiazione: in cambio c’è una replica di tre quarti più piccola. Una cosa simile anche per le donne, che vengono premiate con un piatto d’argento decorato con figure mitologiche del diametro di 48 centimetri. Si chiama “Venus Rosewater Dish” e anche in questo caso viene consegnata una replica più piccola. E cosa dire dell’official food del torneo, le fragole con la panna. Pensate che ogni anno, durante le due settimane di gara, vengono consumate in media 60mila libbre di frutta (27 tonnellate) e circa 8mila litri di crema.

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E infine: vi siete mai chiesti perché a Wimbledon non ci sono mai i piccioni? Semplice, la mattina, e poco prima del via delle partite, un falco viene lasciato libero di scorrazzare sul cielo sopra i campi, terrorizzando gli altri volatili. Nulla lasciato al caso, anche perché i prezzi per assistere alle partite possono raggiungere delle cifre folli. Fin dal 1924 venne istituita una lotteria per acquisire il diritto a comprare i tanto desiderati biglietti per il torneo. Ma a far scalpore sono i così detti “debentures“: si tratta di pass validi cinque anni per il Centre Court che, a differenza di tutti gli altri biglietti, possono essere legalmente rivenduti a cifre astronomiche. È il caso del periodo che va dal 2015 al 2020, quando i debentures erano stati acquistati per 50 mila sterline, salvo poi essere rivenduti, a metà del 2018, ad addirittura 123 mila sterline. Dopotutto, la magia non ha un valore tangibile. La puoi solo ammirare, respirare. E ha l’odore del prato inglese.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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