Se Donald Trump non brilla più

Quando ancora poteva cinguettare centinaia di volte al giorno, nel 2018, l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump si definiva un genio stabile. Un’autocelebrazione continua che nei 4 anni di presidenza è arrivata proprio attraverso i migliaia di tweet pubblicati prima che l’account venisse sospeso dal social dopo l’assalto al Campidoglio del 2021, e prima che creasse il suo Truth Social. In quell’occasione, in un periodo in cui circolavano sempre più opinioni preoccupate sulla salute mentale di Trump rilanciate dai racconti del controverso libro di Michael Wolff, il tycoon ha cercato di tranquillizzare tutti attaccando anche alcuni rivali nella corsa alla Casa Bianca del 2020: “Potreste immaginare di avere come vostro presidente l’addormentato Joe Biden o una versione molto nervosa e magra di Pocahontas (il soprannome con cui chiamava la candidata presidenziale democratica Elizabeth Warren, ndr), anziché ciò che avete ora, un vero genio stabile, di bell’aspetto e intelligente!” Un genio che però è uscito sconfitto non solo dalle elezioni presidenziali del 2020, ma anche da quelle di medio termine dello scorso 8 novembre in cui non è arrivato l’atteso tsunami rosso inneggiato dallo stesso Trump. “Stanno succedendo un sacco di cose buone”, aveva commentato l’ex presidente in una breve dichiarazione nel resort di Mar-a-Lago, in Florida, elencando i successi ottenuti dai candidati repubblicani alle elezioni di midterm, in particolare da quelli da lui sostenuti. “È stata un buona giornata per la democrazia e gli Usa”, ha affermato qualche ora più tardi Joe Biden all’indomani del voto, quasi di risposta a Trump, sottolineando che le previsioni di media e opinionisti sulla vittoria schiacciante del Gop non si sono avverate. Nonostante lo scrutinio sia ancora in corso, le elezioni premiano i Repubblicani alla Camera, ma meno del previsto, mentre al Senato la situazione è in bilico, in attesa del responso da Arizona e Nevada, e il ballottaggio in calendario il 6 dicembre tra i candidati Walker e Warnok della Georgia, Stato decisivo per il controllo della camera alta.

I raduni e il trumpismo

Furioso e arrabbiato per i risultati delle midterm? “Non credeteci”, tuona il “genio stabile” dal social Truth rispondendo “a tutte quelle persone a cui i media corrotti raccontano la falsa narrativa che sono furioso arrabbiato per le Midterm, non credeteci. Non sono affatto arrabbiato, ho fatto un ottimo lavoro (non ero io a correre!) e sono molto impegnato a guardare al futuro”. Tranquillizza tutti Trump, anche se l’unico preoccupato sembra proprio lui, l’ex presidente quasi deriso persino da una delle ultime copertine del New York Post del conservatore Rupert Murdoch, un tempo suo sostenitore. Non si arrende in attesa del prossimo 15 novembre quando dalla sua residenza di Mar-a-Lago dovrebbe annunciare ufficialmente la candidatura alle presidenziali del 2024. Anche se in molti la aspettavano alla vigilia delle midterm a Dayton, in Ohio, dove, accolto dagli applausi dei suoi sostenitori, Trump ha parlato per circa due ore durante l’ultimo comizio prima delle elezioni. “Altri quattro anni, altri quattro anni”, ha gridato la folla, insieme a “Usa! Usa!”, fomentata dalle slide di un sondaggio mostrate da Trump che lo vorrebbero al 71% tra i possibili candidati repubblicani alla Casa Bianca contro il 10 del governatore della Florida Ron DeSantis, seguito dall’ex vicepresidente Mike Pence al 7% e da Liz Cheney al 4%. “Abbiamo bisogno di una vittoria a valanga, in modo che i dem non rubino o non trucchino le elezioni”, ha aggiunto Trump in un comizio senza particolari sorprese ma con gli stessi toni utilizzati dal suo ingresso in politica.

Se Donald Trump non brilla più

Compreso l’attacco a Nancy Pelosi, definita davanti a tutti come un “animale”: “Mi ha messo sotto impeachment per due volte, per nulla”, ha lamentato l’ex presidente parlando della speaker democratica della Camera. Non è un caso che la definisca un animale, termine usato da Trump per ricordare ai suoi sostenitori che fu la stessa Pelosi ad avergli chiesto di non chiamare “animali” gli immigrati clandestini. “Io penso che anche lei sia un animale, se volete conoscere la verità”, ha tuonato l’ex presidente aggiungendo di essere consapevole di poter ricevere critiche per l’infelice commento appena pronunciato. In perfetto stile Trump, quindi, da massimalista, brutale e inintelligibile, così come Bérengère Viennot ha definito i suoi linguaggio e trumpismo nel libro “La Lingua di Trump”. Poco più di 100 pagine per spiegare evoluzione ed eversione epistemologica delle parole usate per sovvertire la realtà dei fatti, piegarla ai propri fini utilizzando una violenza verbale diventata negli anni una normalità. Esaltando il bullismo e la provocazione estrema, facendo uso di un vocabolario che Viennot definisce di rara brutalità. Tra le caratteristicahe principali del trumpismo, un culto più che un movimento, quasi destinato a non brillare più.

L’ombra di Ron DeSantis e il futuro del Partito Repubblicano

Una luce che sembra farsi sempre più forte sulla nemesi dell’ex Presidente, Ron DeSantis, grazie al quale l’onda rossa è stata ben visibile nella sua Florida: a partire da Marco Rubio, sostenuto da Donald Trump, e riconfermato al Senato – alla Camera i repubblicani si sono aggiudicati ben 20 dei 28 seggi disponibili. Anche se a festeggiare più di tutti è soprattutto lui, il governatore repubblicano di origini italiane, rieletto con il 59% dei voti, a fronte del 39% dell’avversario democratico Charlie Crist. “Non solo abbiamo vinto le elezioni, abbiamo riscritto la mappa politica”, ha detto DeSantis, fiero di essere riuscito ad espugnare anche distretti tradizionalmente democratici come la contea di Miami-Dade che non votava per un candidato repubblicano alla carica di governatore da due decenni. E poi Palm Beach, Jacksonville, Orlando e Tampa. Un successo che potrebbe essere solo l’inizio di una sfida tutta rossa in vista del 2024 quando gli americani saranno chiamati a scegliere il 47° presidente. E un avvertimento che non si è fatto attendere proprio in vista delle elezioni presidenziali e a margine di quelle di medio termine: “Se si candida dirò cose su di lui che non saranno molto lusinghiere. So di lui più di chiunque altro, tranne forse sua moglie”, ha detto Trump all’uscita del seggio a Mar-a-Lago riferendosi a DeSantis. “Non abbiamo soltanto vinto la Florida, abbiamo riscritto la mappa della politica”, recita la risposta indiretta di DeSantis, 44 anni, ex militare e governatore della Florida dal 2019. Un successo che rafforza le sue ambizioni presidenziali e con cui ha dimostrato di poter essere il futuro del partito repubblicano, come ha titolato il New York Post, il tabloid di Rupert Murdoch.

Se Donald Trump non brilla più

“Ho appena cominciato a combattere”, ha continuato a distanza Ron, cristiano cattolico e sostenitore dal 2015 della lobby fondamentalista protestante Family Research Council Action PAC., contrario a qualunque tipo di interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane, favorevole allo sviluppo del programma sull’uso medico della marijuana in Florida ma contro la legalizzazione per uso ricreazionale. Orgoglioso di aver trasformato lo swing state della Florida in uno stato rosso, l’ascesa di DeSantis inizia durante la pandemia da Covid-19 con la battaglia per eliminare le mascherine e le lezioni a distanza per le scuole, dove ha introdotto lo Stop Woke Act per limitare i modi di affrontare i temi legati alla razza e permettere ai genitori di citare in giudizio scuole e insegnanti in caso di presunte violazioni. Sempre a scuola DeSantis ha introdotto la legge ribattezzata “Don’t Say Gay” (“Non dire gay”) che vieta si parli di orientamento sessuale e identità di genere alle elementari e ne restringe la discussione alle superiori. Il Grand Old Party è a un bivio così come DeSantis che ora dovrà decidere se aspettare il 2028 oppure andare subito allo scontro frontale con Trump tra 2 anni. Al momento, secondo un sondaggio della Reuters, il 60% dei repubblicani vorrebbe che Donald si ricandidasse, mentre il 36% è contrario. Ma le percentuali potrebbero cambiare dopo il voto di martedì e una sfida tutt’altro che lontana. Con Biden che ammette di non temere nessuno dei due: “sarà divertente vederli attaccarsi a vicenda”, ha dichiarato il presidente, promettendo che in caso di una ricandidatura di Trump farà in modo che non vinca di nuovo.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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