Speciale Qatar 2022: Le mani sul mondo

Non ci abitueremo mai ai primi mondiali in Medio Oriente con il richiamo del muezzin all’ora della preghiera durante un gol di Messi, i più costosi di sempre, in inverno e non itineranti: al di là del calcio, la Coppa del Mondo in Qatar è già l’edizione più discussa tra le 22 organizzate. Ed è per questo che abbiamo deciso di portarvi con noi proprio a Doha, capitale dello Stato peninsulare del Qatar affacciato sul Golfo Persico, il più piccolo ad aver mai ospitato la competizione calcistica. Qui nella città tirata a lucido per l’evento degli eventi, estesa più che trasformata per accogliere i circa 2 milioni di turisti nel Paese con poco meno di 3 milioni di abitanti, dove secondo la Costituzione la principale fonte di legge è la Sharia e non il pallone. Anche se la sensazione appena messo piede a Doha è quella che non ci sia nient’altro oltre i mondiali: tra i cartelloni colorati nelle immense strade che collegano gli imponenti edifici bianchi ne spicca uno con su scritto, in inglese e in arabo, “adesso è tutto”. Un’organizzazione impeccabile, dall’aeroporto agli stadi, per lasciarsi alle spalle i pregiudizi e convincere tutti: perché qui il calcio è da sempre stato descritto più come un affare di famiglia che una passione, tanto anche il primo Mondiale giocato per i padroni di casa. Sembra ormai lontano il 1951 quando la Qatar Oil Company organizza il primo torneo del Paese, e il 1957 quando nasce un campionato non ufficiale organizzato da sceicchi e petrolieri. Calcio e petrolio sono infatti sempre andati d’accordo fin dal secondo dopoguerra: con la scoperta di un giacimento petrolifero a Dukhan, a 80 km a ovest da Doha, sorgono le prime compagnie, con esse arrivano anche i lavoratori migranti dall’Europa e un passatempo in comune: il pallone. Dal 1960, data di nascita della Federazione calcistica del Qatar, ad oggi, c’è il regalo dell’allora presidente della Fifa Sepp Blatter all’Emirato del vicino Oriente: organizzare i mondiali 2022 e abbattere il muro dei cliché sull’Islam, sui diritti delle donne e quelli LGBTQ+, dell’estate tutto l’anno e gli hotel a 5 stelle poco frequentati dai turisti. Una disponibilità economica che avrebbe convinto proprio Blatter prima e Infantino poi sulla scelta del Qatar, sicuri di potersi nascondere dietro il ponte culturale tra il mondo arabo e l’Occidente. La somma dei costi è comunque alle stelle, non solo per l’immagine della Fifa e per le tasche della famiglia reale Al Thani che governa lo Stato dal 1825, ma per i migliaia di lavoratori migranti deceduti da quando il Qatar ha ottenuto il diritto di ospitare i mondiali, nel 2010: le cifre parlano di 220 miliardi di dollari di investimenti e 6.500 morti durante la preparazione dell’evento.

Speciale Qatar 2022: Le mani sul mondo

Senza contare quelli sfruttati, migliaia di invisibili per lo più provenienti dall’Asia Meridionale costretti a lavorare per ore al caldo e sotto al sole, mal pagati e senza alcun diritto. E poi gli altri di diritti, i civili, non garantiti dalla legge di quella che sulla carta si presenta come una monarchia costituzionale ma che nei fatti assomiglia più a una monarchia assoluta: l’articolo 296.3 del codice penale criminalizza vari atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso, mentre quello 296.4 chiunque “induca o tenti un uomo o una donna, in qualsiasi modo, a compiere atti contrari alla morale o illegali”. E allora no ai mondiali dei baci dopo un gol fatto o subito ma sì alla limitazione a qualsiasi manifestazione di intimità pubblica perché può portare all’arresto, sia per le coppie eterosessuali che omosessuali; niente bandiere arcobaleno né alcol negli stadi, sì a un abbigliamento consono per entrambi i sessi e nessuna stretta di mano a una donna perché irrispettoso. È però anche il Mondiale di Stati Uniti contro Iran, di nuovo in campo dopo 24 anni dall’ultima storica partita a Lione nel ’98, questa volta finita 0-1 per gli Usa. Quello senza Russia e Ucraina, la prima esclusa dal torneo dalla Fifa lo scorso 28 febbraio dopo l’inizio della guerra su larga scala e la seconda eliminata dal Galles nella finale playoff a giugno. Qatar 2022 ci ricorda del primo Mondiale senza Maradona ma con l’aria condizionata, e il secondo di fila senza la Nazionale italiana. Al loro posto, fuori dal campo, l’Esercito, la Marina, l’Aeronautica e i Carabinieri italiani impegnati nella Joint Task ForceLand nell’ambito dell’operazione Orice in supporto alle Forze Armate del Qatar per rafforzare i controlli di sicurezza a terra, in mare e nei cieli. Nel Mondiale delle contraddizioni, le ipocrisie sembrano fare ombra su chi ha ancora soltanto la voglia di guardare una partita di calcio, ed esserci. Perché nonostante tutto, le parole dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani nel suo discorso alla cerimonia di apertura in occasione di Qatar-Ecuador, oltre ad essere di circostanza, vanno anche dritto all’unico vero senso dei mondiali: “È bello che i popoli mettano da parte ciò che divide e celebrino le loro diversità e al tempo stesso ciò che li unisce”. Il calcio?

Mondiali (in)sostenibili

Otto stadi, 7 dei quali costruiti ex novo dal 2010 per ospitare l’evento calcistico più importante al mondo, sono tra le caratteristiche più visibili dai satelliti che hanno trasformato il territorio della città sulla sponda orientale della piccola penisola sul Golfo Persico. E la promessa, da parte del Qatar ma anche della Fifa, di poter organizzare il primo Mondiale a emissioni zero. Tanto da eliminare dal sito internet ufficiale dell’evento la pagina dedicata proprio alla neutralità carbonica della Coppa del Mondo. A parlare da sole sono le immagini della Nasa, scattate il 13 novembre dall’Operational Land Imager-2 (OLI-2) montato sul satellite Landsat 9 che mostrano le imponenti costruzioni calcistiche e il cambiamento urbanistico di Doha. Eppure, come si legge sul sito di WeBuild, il gruppo multinazionale italiano che opera nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria e che ha costruito lo stadio della cerimonia di inaugurazione, lo stadio Al Bayt “è stato ispirato ai principi della sostenibilità, tanto nella forma della tenda beduina che rappresenta proprio il senso e il valore dell’inclusione, quanto nelle caratteristiche dell’opera”. L’Al Bayt, spiega il gruppo, ha infatti ottenuto la GSAS 4stars rilasciato dalla Gulf Organization for Research & Development, ovvero uno dei più alti standard di sostenibilità riconosciuto nell’area del Medio Oriente e Nord Africa. La sola tecnologia italiana non ha però convinto, al momento, gli esperti: secondo un’indagine condotta dall’organizzazione no-profit Carbon Market Watch, le intenzioni dietro ai tentativi degli organizzatori di rendere la Coppa del Mondo neutrale dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica possono essere oggetto di dibattito, ma, come ha dichiarato Gilles Dufrasne di Carbon Market Watch, “è chiaro che non sono corrette”. Il riferimento è al rapporto ufficiale della Fifa sulle emissioni di gas serra per i Mondiali in corso e le stime di una produzione di circa 3,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica, 1,5 milioni di tonnellate in più rispetto a Russia 2018.

Speciale Qatar 2022: Le mani sul mondo

Troppe le emissioni relative agli spostamenti e ai voli aerei da e per il Qatar tra novembre e dicembre che ne rappresenterebbero oltre il 40%. Secondo la Fifa la costruzione e il funzionamento delle infrastrutture del torneo sono responsabili solamente del 25% delle emissioni totali della Coppa del Mondo contro il 20% degli alloggi. Ed è proprio per far fronte all’alta domanda di turisti che la compagnia aerea statale Qatar Airways ha organizzato un servizio operato da compagnie aeree regionali dentro e fuori Doha nei giorni delle partite dalle città del Golfo, inclusi almeno 60 voli giornalieri da e per Dubai. Mentre Careem, l’app che fornisce servizi di trasporto automobilistico, per l’occasione offre corse di andata e ritorno tra l’Arabia Saudita e il Qatar per poco più di 500 dollari. Nell’organizzazione pedissequa dei trasporti, spuntano però anche delle anomalie, come quella degli autisti degli shuttle messi a disposizione per giornalisti e tifosi per raggiungere gli stadi e che, a volte, non conoscono il tragitto ma che guidano per ore senza sapere realmente dove andare. E poi le alte temperature e l’aria condizionata negli stadi, anche se sarebbe più preciso chiamarlo sistema di raffreddamento innovativo: ad eccezione dello Stadio 974, tutti gli stadi sono provvisti di un sistema che invece di prelevare aria calda dall’esterno e raffreddarla, forma uno strato di aria fredda all’interno di ogni struttura e la ricicla. Le griglie sparse per tutti gli impianti aspirano l’aria, la filtrano, la incanalano attraverso tubi riempiti di acqua refrigerata per raffreddarla e poi la indirizzano verso i giocatori attraverso gli ugelli a bordo campo e in direzione degli spettatori tramite i diffusori sotto i sedili sugli spalti. L’intero sistema è alimentato da una centrale fotovoltaica nel deserto che secondo Saud Abdulaziz Abdul Ghani, professore di climatizzazione all’Università del Qatar e progettista, utilizza il 40% di energia in meno rispetto a qualsiasi altro sistema di raffreddamento sul mercato. Una soluzione ideale per l’inverno caldo e secco del Qatar e per il primo Mondiale in Medio Oriente. Al momento non così sostenibile e con enormi sbalzi di temperatura.

I migranti morti e sfruttati e la testimonianza di Anish 

Quando il quotidiano inglese The Guardian all’inizio del 2021 aveva svelato lo sfruttamento e le morti di migliaia di lavoratori migranti (oltre 6.500) avvenute in circostanze legate ai lavori di pianificazione e costruzione di stadi e strutture architettoniche in Qatar, il polverone non si è alzato poi così tanto. Quando le testimonianze dei migranti provenienti da India, Pakistan, Sri Lanka, Nepal e Bangladesh (le cifre non hanno incluso i decessi di lavoratori filippini e kenioti), si sono susseguite una dopo l’altra, a distanza ravvicinata con l’inizio dei mondiali in Qatar, si è iniziato a considerare il vero costo di una semplice competizione calcistica. Che no, non sarebbe stata possibile senza i 2 milioni di lavoratori migranti che hanno costruito le infrastrutture in vista di Qatar 2022. Molti di loro probabilmente morti mentre lavoravano, senza che la loro morte fosse stata veramente appurata, se per una caduta dall’alto, per un’insufficienza cardiaca o respiratoria acuta descritta come “morte naturale”. La realtà si traduce in uno stress termico non più tollerato dai lavoratori, costretti a lavorare anche nei mesi estivi con temperature che in media raggiungono tranquillamente oltre i 40 gradi. I primi a denunciare il sistema sono stati proprio i giornalisti del Guardian, poi criticati per non aver fatto distinzione, nella loro inchiesta, tra i lavoratori migranti e la popolazione straniera residente in Qatar. Anche se già nel settembre 2013, l’International Trade Union Confederation aveva messo in guardia che il Mondiale avrebbe potuto costare la vita a circa 4.000 persone. Due mesi dopo, Amnesty International aveva diffuso un report nel quale denunciava lo sfruttamento dei lavoratori migranti in Qatar. Poi, nel gennaio 2014, sempre il Guardian parlava di 185 nepalesi morti nell’ultimo anno nei cantieri qatarioti, mentre un anno più tardi, nel 2015, il Washington Post aveva pubblicato una grande inchiesta sul tema parlando di 1.200 operai deceduti.

Speciale Qatar 2022: Le mani sul mondo

Anish Adhikari, 25 anni nepalese, non è uno di loro, anche se denuncia a il Millimetro il trattamento ricevuto durante i 33 mesi di lavoro al Lusail Stadium, lo stadio che ospiterà la finale il prossimo 18 dicembre. “Sono nato nel distretto di Khotang nel Nepal orientale e vivo ancora lì, il mio villaggio è molto povero e non c’è lavoro, vengo da una famiglia povera ed è il motivo per cui ho studiato solo fino alla quinta elementare. In Qatar, per la costruzione dello stadio Lusail, mi sono occupato della costruzione dei macchinari di aria condizionata dello stadio, era un lavoro molto duro, lavoravo per ore sotto il sole con temperature che toccavano i 40-50 gradi senza acqua potabile da bere durante i turni. A casa, in Nepal, non riuscivo a trovare lavoro, dovevo occuparmi tutto da solo e non avevo soldi: un giorno mi sono messo in viaggio, ho prima camminato per 24 ore e poi ho preso un autobus per altre 20 per arrivare a Pokhara, sempre in Nepal. Volevo andare in Qatar perché avevo sentito dire che c’era tanto lavoro, con la promessa di guadagnare 900 rial al mese compreso il cibo (circa 230 euro, n.d.r.). Anche se poi è cambiato tutto: una volta arrivato a Doha per 4 mesi ho lavorato senza visto e lo stipendio non era più quello che mi avevano promesso. Il 100% dei miei diritti non è stato rispettato, sono stato pagato il 50% di quanto avrei dovuto ricevere, e ho visto molti miei colleghi essere sottoposti a violenze per essersi rifiutati di lavorare in quelle condizioni. Ogni giorno sempre uguale e sempre più devastante.”

La storia di Zahra, iraniana arrestata e torturata per una partita allo stadio 

Sono tante le iraniane venute in Qatar per assistere ai mondiali, tante ma la maggior parte residenti fuori dall’Iran, molte senza il velo. Le altre, a casa, lottano ancora contro la morte di una giovane ragazza per non aver rispettato l’obbligo di indossare correttamente il velo, e non pensano così tanto al calcio, non in questo momento. Il Mondiale dell’Iran è forse il più politico di tutti, tra i rapporti con Washington mai così tesi e la guerra in Ucraina. Nel Paese dove, per una legge non scritta, una donna può essere portata via dalla polizia anche solo per voler assistere ad una partita di calcio, allo stadio. Zahra Khoshnavaz ha provato a sfidare le autorità travestendosi da uomo: dopo essere stata arrestata e torturata, è riuscita a lasciare l’Iran e, come molte altre donne, avrebbe voluto che la Nazionale venisse esclusa dai mondiali per quello che sta succedendo nel Paese.

Quanti anni hai e cosa fai nella vita?

“Ho 31 anni, facevo la contabile in un’azienda ma dopo essere stata arrestata non potevo continuare il mio lavoro. Ho aperto un salone di bellezza ma il governo non mi ha dato la licenza a causa del mio background politico”.

Quando hai iniziato a guardare il calcio e perché?

“Nella nostra famiglia, mio padre amava il calcio e io ero l’unica bambina che guardava sempre le partite con lui, mi è subito interessato il calcio e ho iniziato a tifare la squadra del Persepolis sin da quando ero bambina. Una volta cresciuta mi sono appassionata anche alla Juventus“.

Cosa significa essere una tifosa di calcio e una donna in Iran?

“Secondo me essere una donna in Iran è il lavoro più difficile di tutti. Dico sempre una frase, sono una donna iraniana, qual è il tuo super potere? Sono una donna iraniana, qual è la tua forza?”.

Sei stata arrestata più di una volta per essere andata allo stadio anche se la legge iraniana non specifica il fatto di non poterlo fare. Cosa è successo?

“Mi hanno chiamato e mi hanno detto di andare in una stazione della polizia per interrogarmi, pensavo per rispondere a delle semplici domande, invece mi hanno arrestata e maltrattata. Ho dovuto lasciare l’Iran il mese scorso a causa dei problemi che ho dovuto affrontare durante le proteste iraniane”.

In questo mese si sta disputando la Coppa del Mondo, dopo la morte di Mahsa Amini un gruppo di iraniani ha chiesto alla FIFA di escludere l’Iran dalla competizione, cosa ne pensi? 

“Volevo anche io che l’Iran venisse escluso, abbiamo problemi più grandi nel paese ora. Molti bambini, donne e uomini vengono uccisi e incarcerati”.

Vorresti andare in Qatar per i Mondiali?

“Ho lasciato il Paese all’improvviso e sto affrontando molti problemi, anche se avessi voluto vedere i mondiali da vicino, ora non ci penso affatto”.

La Difesa italiana ai mondiali 

Si chiama Orice d’Arabia ed è una delle quattro specie di antilope che vivono nel torrido ambiente desertico, oltre ad essere l’animale nazionale del Qatar. E non è un caso abbia dato il nome alla Missione bilaterale di supporto alle Forze Armate del Qatar in occasione della Coppa del Mondo in cui sono impegnate quelle italiane. Noto per la sua straordinaria resistenza, l’Orice riesce a coprire lunghe distanze nel deserto, talvolta percorrendo oltre 70 km in una notte: l’antilope può infatti sopravvivere alcune settimane senza bere, anche durante le lunghe e calde estati del deserto. Ed è proprio dal deserto che si passa per arrivare da Doha al porto militare di Mesaieed, a circa 30 km a sud-est di Doha, dove è attraccato il Pattugliatore Polivalente d’altura italiano Thaon di Revel, una nave espressione dell’eccellenza della cantieristica italiana, in Qatar per sorvegliare le acque internazionali al largo della capitale. Un’occasione, quella di salirci a bordo, più unica che rara, vista la presenza costante in mare nel Golfo Persico per il periodo dei Mondiali. “Un pezzo di Italia che si muove”, dice a il Millimetro il Capitano di Fregata Emanuele Morea, comandante della nave partita da La Spezia il 12 agosto scorso per raggiungere la piccola ma non meno strategica penisola araba. Un pezzo di un’altra penisola, la nostra, unico al mondo: un mix di tecnologia italiana che rende il pattugliatore il primo ad avere il cosiddetto Naval Cokpit, una postazione integrata che permette la condotta della nave e delle operazioni aereonavali da parte di soli due operatori, il Pilot e il Copilot. Da questa postazione è infatti possibile gestire sia le macchine, i timoni e gli impianti di piattaforma che il sistema di combattimento al livello più spinto, che si traduce nell’uso di armi in dotazione. Come fosse un aereo ma sull’acqua. Per la precisione, in quelle al largo di Doha allo scopo di prevenire traffici illeciti e possibili attività terroristiche prima e durante la Coppa del Mondo. Nell’ambito dell’articolato apparato di difesa qatariota costruito per la competizione internazionale, il Thaon di Revel opera in sinergia con assetti aeronavali di altri Paesi, dagli Stati Uniti alla Francia, Regno Unito, Pakistan e Turchia. Alla nostra Marina, inoltre, il contributo alla sicurezza delle acque in prossimità della costa mediante il veicolo subacqueo a guida autonoma “REMUS 100”, utile per identificare la presenza di oggetti pericolosi presenti sul fondo del mare – i controlli dei fondali del canale di ingresso del porto di Doha sono stati effettuati prima dell’inizio dei Mondiali. L’avanguardia ingegneristica navale Made in Italy non è però l’unica presenza italiana in Qatar, anzi, al pattugliatore si aggiungono 46 mezzi terrestri, 1 elicottero e soprattutto 560 militari. Per mare, per terra e nei cieli del Qatar con Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri. In particolare, l’Esercito ha uno schieramento di unità specialistiche E.O.D. (Explosive Ordnance Disposal), per la difesa Cbrn (da minaccia chimica, biologica, radiologica e nucleare) e unità cinofile. Mentre l’Aeronautica Militare concorre al controllo dello spazio aereo per contrastare l’eventuale impiego non autorizzato di mini e micro droni.

Speciale Qatar 2022: Le mani sul mondo

In Qatar è infatti schierato un Counter-Unmanned Aerial Anti-drone System costituito da dispositivi jammer portatili e dal sistema anti-drone stanziale Acus. L’Arma dei Carabinieri, infine, è presente con 14 unità, tra cui il Provost marshal, figura di diretto supporto del Comandante della missione ed in particolare un Nucleo di 10 advisor, consulenti delle forze di sicurezza (Gendarmeria, Guardia dell’Emiro, Polizia Militare) e delle forze speciali del Qatar. Un comando, sul terreno, affidato al Generale di Brigata Giuseppe Bossa, comandante della Brigata “Sassari”, con il compito di concorrere e assistere le Forze Armate dell’Emirato nella loro opera di vigilanza sul sicuro e regolare svolgimento dell’evento sportivo. Anche se il lavoro, qui, è iniziato prima del fischio di inizio con, tra le altre cose, i controlli chimico-radiologici effettuati in cinque degli otto stadi che ospitano le partite dei Mondiali, dallo stadio Al-Thumama all’Ahmed bin Ali, compresi l’Al-Bayt, quello che ha ospitato la partita inaugurale, e il Lusail Stadium, il più grande del Paese dove si disputerà la finale. “Questa è una missione atipica – dichiara il generale Bossa – “ed è la prima volta che l’Italia si confronta con un evento del genere”. Con al momento ottimi risultati: “L’Italia al Qatar piace e affascina”, conclude il generale che sottolinea i buoni rapporti tra i due Paesi e le relazioni bilaterali, tra i temi al centro della visita del Ministro della Difesa Guido Crosetto di lunedì. Insieme al contributo alla sicurezza dei mondiali. I militari italiani saranno pronti a intervenire, in supporto e su richiesta delle autorità del Qatar, in situazioni di emergenza o in caso di atti ostili che possano minacciare infrastrutture critiche quali stadi, porti, aeroporti, complessi industriali, centri commerciali e luoghi affollati. Anche se, rimanendo in tema calcistico, la vittoria qui non si misura a suon di gol.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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