Maldini, la bandiera calpestata due volte

Ma sì, in fondo hanno fatto bene a silurarlo come se fosse l’ultimo dei galoppini. Alla fine, che avrà mai fatto Paolo Maldini (e più in generale tutta la sua famiglia) per il Milan?Grazie e arrivederci, non ci servi più”. È stato pure troppo, siamo nel 2023 ormai, non è più tempo di luoghi comuni, bandiere e banalità. Riconoscenza e sentimento hanno fatto spazio da un bel pezzo a produttività e cinismo. Qualcuno potrebbe obiettare e parlare del fatto che, nell’ultimo biennio, ha creato una squadra capace di vincere lo Scudetto contro ogni pronostico nella stagione 2021/22, arrivando fino alla semifinale di Champions League nell’anno successivo, ma cosa è tutto questo al cospetto di un errore madornale come l’acquisto di De Ketelaere, il flop dei flop dell’ultimo campionato? Troppo facile adesso pensare al fatto che, oltre a lui, negli anni abbia portato (e convinto a scegliere un Milan non certo sul livello dei fasti di un tempo) giocatori come Theo Hernandez, Maignan e compagnia bella. No, la figuraccia fatta con il belga è stata troppo per un club come quello rossonero, un investimento sbagliato di quelli che non capitano mai e poi mai nel calcio. Vabbè, forse ogni tanto può accadere. Sì, un po’ più spesso di ogni tanto, e a qualsiasi società del mondo. E poi che c’entra adesso che tutti gli addetti ai lavori erano pronti a scommettere a occhi chiusi sul futuro di Charles e sulla possibilità (peraltro ancora non sfumata, considerato che ha appena 22 anni) che potesse diventare un top mondiale? Maldini non ci sarebbe dovuto cascare, non avrebbe dovuto mettere così in imbarazzo la proprietà statunitense. E lì in America si sa, chi sbaglia paga. Lì c’è poco da scherzare, mica sono degli stupidi sentimentali come noi italiani. Gente come Berlusconi, versione patron calcistico, che storicamente ha sempre tenuto i suoi giocatori simbolo praticamente a vita, a meno che non sopraggiungessero cause di forza maggiore a livello economico (tipo il primo addio di Ibrahimović e quello di Thiago Silva) o personali dei diretti interessati (vedi Shevchenko o Kakà). Certo, con questo modo di fare è diventato il presidente più vincente della storia del calcio, ma che c’entra? Ora il modo di approcciarsi allo sport è cambiato, si è evoluto.

Maldini, la bandiera calpestata due volte
Zlatan Ibrahimović e Paolo Maldini, foto LaPresse

Tutto è basato sul business, sugli algoritmi. Una società di calcio è diventata una vera e propria impresa, orientata a fare profitti, a farsi conoscere. Non è neanche troppo importante conquistare trofei, quello passa in secondo piano. Una sorta di sistema alla Moneyball – L’arte di vincere, celebre film del 2011 (tratto dall’omonimo libro scritto nel 2003 da Michael Lewis) diretto da Bennett Miller e interpretato da Brad Pitt: in questo si vede una squadra di baseball, gli Athletics di Oakland, riuscire a competere con avversari molto più forti grazie a un sistema di mercato fatto di statistiche e calcoli matematici. Un modello che è già stato utilizzato nel calcio e da cui, ovviamente, intende prendere spunto la proprietà a stelle e strisce del Milan. Questo è il futuro, d’altronde. Guai a chiudere gli occhi di fronte al progresso pur di tenere conto delle “bandiere”. Queste sono sacrificabili se non sanno adeguarsi alle nuove logiche e Maldini, purtroppo per lui, non fa eccezione. Ok, ci sarebbe poi quel piccolo dettaglio messo in luce dal rapporto sui brand calcistici più famosi del mondo uscito lo scorso 7 giugno 2023 su brandirectory.com. Nel Brand Finance Football si può vedere come il club con il tasso di crescita più alto sia proprio il Milan: “Il Milan (valore del marchio in crescita del 33% a 357,98 milioni di euro) è al 15° posto quest’anno ed è nominato il marchio di club calcistico in più rapida crescita, seguito da vicino dal Napoli (valore del marchio in aumento del 31% a 239,81 milioni di euro) al 18°”. A seguire anche la spiegazione: “Il Milan ha avuto una stagione di successi, raggiungendo le semifinali di Champions League e detenendo un rispettabile 4° posto in Serie A. Il valore del marchio del club è aumentato grazie a royalties e sponsorizzazioni, per un totale di quasi 20 milioni di euro nel 2022”. Un traguardo che ha consentito al Milan di rappresentare l’Italia come il marchio di club calcistici in più rapida crescita per il secondo anno consecutivo. Sì, sappiamo cosa state pensando in questo momento. È il periodo in cui Paolo Maldini era direttore dell’area tecnica rossonera, ma che vuol dire? Con l’algoritmo funzionerà sicuramente tutto molto meglio, no?

Maldini, la bandiera calpestata due volte – Déjà vu a San Siro

Che poi per parlare di Paolo Maldini bisogna partire da più indietro, visto che non è nemmeno la prima volta che succede una cosa simile. L’ex capitano del Milan è stato una sorta di pioniere per quel che riguarda quel ridicolo luogo comune della “bandiera calpestata”. Quanto avvenuto nel finale della stagione appena conclusa è stato in fondo un déjà vu. Difficile dimenticare quel Milan-Roma del 24 maggio 2009, quando il capitano dei rossoneri, dopo appena 25 anni di carriera vissuti interamente con quella casacca, ha deciso di dare l’addio al calcio. Poteva finire tutto così, semplicemente, con “grazie e arrivederci” in un Cardinale-style che non avrebbe portato ad alcuna conseguenza. E invece cosa ha fatto il club rossonero dell’epoca? Non ti ha organizzato una celebrazione per rendergli omaggio? Assurdo. Così Maldini ha iniziato il suo giro di campo prendendosi inizialmente gli applausi dei 70mila spettatori presenti, fino a quando non c’è stato l’intervento di una parte della tifoseria, quella organizzata della Curva Sud, che ha scelto il momento ideale per portare avanti una sua personale crociata, srotolando la bandiera di Franco Baresi (considerato “solo e vero capitano”) e pubblicando degli striscioni: “Per i tuoi 25 anni di gloriosa carriera sentiti ringraziamenti da chi hai definito mercenari e pezzenti” e “Grazie capitano: sul campo campione infinito, ma hai mancato di rispetto a chi ti ha arricchito”. Per-fet-ti! Due messaggi indirizzati a Maldini nel giorno di Maldini. Niente di più logico e coerente. Però, a tutto il resto dello stadio e allo stesso numero 3, inspiegabilmente non sono piaciuti, come se li avessero trovati fuori luogo, valli a capire. I primi hanno iniziato a fischiare quella minoranza, il secondo li ha applauditi ironicamente e si è rifiutato di ricevere in mezzo al campo la targa commemorativa che era stata preparata per lui. Tra l’altro, quella contestazione se l’era anche un po’ meritata. Al giorno d’oggi come si fa a non scendere a compromessi con la tifoseria organizzata? È la prassi, la normalità. In quanto calciatore strapagato devi essere insultato e restare in silenzio se le cose vanno male. E niente eh, lui non l’ha mai voluto fare. Non è stato accondiscendente e ipocrita nel corso della sua carriera agonistica, non ha fatto buon viso a cattivo gioco: quando si è verificato qualcosa che gli ha dato fastidio, lo ha sempre fatto notare senza preoccuparsi delle conseguenze, comportandosi da uomo, oltre che da essere umano.

Maldini, la bandiera calpestata due volte – I motivi della contestazione

È accaduto la prima volta nella stagione 1997-98, subito dopo aver assunto i gradi di capitano del Milan: in quella stagione i rossoneri guidati da Fabio Capello sono arrivati decimi in campionato e così, nel corso della partita con il Parma, i tifosi in segno di protesta si sono voltati tutti di spalle e poi hanno iniziato a lanciare in campo fumogeni e uova dopo il gol del vantaggio degli emiliani. Un gesto forte, che Maldini non ha gradito. Cioè, secondo lui una squadra che nei dieci anni precedenti aveva vinto tutto (e più volte) quello che poteva vincere, avrebbe meritato un po’ più di rispetto… ah, Che follia! Stesso discorso è accaduto dopo la finale di Champions League di Istanbul persa contro il Liverpool, quando c’è stata un’altra contestazione all’aeroporto verso i giocatori (e in particolare nei suoi confronti) colpevoli di essersi fatti rimontare. E lui, che oltre a essere stato calciatore del Milan ha la colpa di esserne pure tifoso, in quel momento di profonda delusione per aver visto sfumare una vittoria che sembrava già acquisita non è riuscito a fare il falso, non ha lasciato correre e ha reagito d’impulso, lasciandosi scappare quel “mercenari e pezzenti”: «Io do l’anima – ha spiegato più avanti – e posso anche morire in campo. Però, una volta che lo faccio, non mi devi dire “Impegnati” o “Sei un… poco di buono”. Il tifoso milanista mi disse: “Vergognati, devi chiedere scusa”. Sono andato davanti a questo tifoso. Come capitano non potevo accettarlo. Non potevo accettare che un ragazzino di 22 anni – io giocavo da 20 anni al Milan – dopo una partita del genere, mi dicesse qualcosa. Solo io sono andato a “parlare”, per modo di dire. Non ero solo, ma sono andato solo io. Mi sentivo toccato. Io ho avuto quei 7-8 secondi in cui ho reagito d’istinto. C’era anche la mia famiglia con me». Davvero incredibile che non sia rimasto in silenzio comportandosi da robot senz’anima, già. E poi è successo di nuovo qualcosa di simile, ultimo capitolo di questa trilogia, avvenuto il 25 febbraio 2009, dopo Milan-Werder Brema: un match pareggiato 2-2 (dopo essere stati in vantaggio per 2-0) che è costato l’eliminazione dalla Coppa UEFA. Al termine dell’incontro la Curva Sud ha pesantemente contestato la squadra e Maldini ha fatto loro segno di tacere, portando l’indice alla bocca: «Sono molto arrabbiato, come i miei compagni. Dopo tutto quello che abbiamo dato, fatto e vinto, meritiamo un trattamento diverso. Questo atteggiamento è iniziato nel derby di ritorno dell’anno scorso».

Maldini, la bandiera calpestata due volte
Paolo Maldini il giorno della presentazione a Milanello, foto LaPresse

No, ci spiace Paolo, lo sanno tutti: se guadagni una barca di soldi non sei legittimato a essere incazzato per una delusione sportiva. Devi essere in grado di tollerare anche critiche che ritieni fuori luogo. Ecco perché alla fine quegli striscioni nel giorno dell’addio sono stati meritati, perché questi tre episodi sono decisamente molto più importanti di: 7 Scudetti (1987-1988, 1991-1992, 1992-1993, 1993-1994, 1995-1996, 1998-1999, 2003-2004); 5 Supercoppe italiane (1988, 1992, 1993, 1994, 2004); una Coppa Italia (2002-2003); 5 Coppe dei Campioni/Champions League (1988-1989, 1989-1990, 1993-1994, 2002-2003, 2006-2007); 5 Supercoppe europee (1989, 1990, 1994, 2003, 2007) 2 Coppe Intercontinentali (1989, 1990), una Coppa del mondo per club (2007); record di presenze con la maglia del Milan (902), record di titoli vinti con la maglia del Milan (26); record di trofei nazionali vinti con la maglia del Milan (13); record di trofei internazionali vinti con la maglia del Milan (13); record di presenze con la nazionale italiana per un giocatore del Milan (126). Che messi così potrebbero pure sembrare chissà che, ma alla fine sono solo dei dettagli, numeri da inserire in un freddo curriculum. Vuoi mettere con l’affronto che hanno dovuto subire quei tifosi? Quelli che dopo essersela presa con lui dopo qualche sconfitta si sono addirittura sentiti rispondere per le rime da un essere umano a cui, così come loro, giravano profondamente i coglioni per la sconfitta del suo Milan, quello che ha difeso e rappresentato per tutta la sua vita? Veder calpestare la sua bandiera all’epoca è stato normale, insomma. E se è successo allora, perché non farlo di nuovo adesso? Ecco perché in fondo hanno fatto bene a silurarlo come l’ultimo dei galoppini. D’altronde, a parte tutte queste cose elencate, che altro ha fatto Maldini per il Milan? Gli ha dedicato la sua intera vita professionale, sì. E pur essendo stato uno dei più forti difensori della storia del calcio non ha mai preso in considerazione di lasciare, nei momenti belli e soprattutto in quelli brutti ci ha sempre messo la faccia, senza fuggire dalle sue responsabilità. Ma cosa volete che conti oggi tutto questo? Un “grazie e arrivederci” è stato abbastanza per congedarlo. E poi, eventualmente, c’è sempre tempo per affezionarsi a nuove bandiere. Sono sempre più rare, è vero, ma esistono ancora calciatori forti che indossano la maglia della squadra che hanno tifato da bambini. Lo stesso Milan, ad esempio, può contare su Sandro Tonali, portato in rossonero proprio da Maldini. Il centrocampista è diventato l’idolo di tutti i bambini, si identificano in lui e sognano di percorrere un giorno la sua stessa strada. Come? Hanno offerto 80 milioni dal Newcastle United? Ah, lo hanno venduto nel giro di 24 ore? Vabbè…

(foto copertina LaPresse)

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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