Messi (in)consapevole ambasciatore Mondiale

Mentre gli anni passano inesorabilmente anche per lui, Lionel Messi è sempre più la (in)consapevole icona del nuovo che avanza. Anziché legarsi alla tradizione di un grande club, ha prima scelto il Paris dei qatarioti, quindi, è andato nel Paese dei padroni a sollevare la Coppa del Mondo per la terza volta nella storia dell’Argentina, e adesso, in questo personalissimo Risiko, ha già piazzato la bandierina sugli Stati Uniti. Messi ha consapevolmente scelto di trovarsi dalla parte vincente della storia del calcio ma anche del marketing che spesso e volentieri occulta l’altro lato della medaglia. Se già in Russia l’avvicinamento al torneo iridato non era stato dei migliori (ma, a onor del vero, non si possono neanche dimenticare le cattedrali nel deserto di Sudafrica 2010 e le polemiche di Brasile 2014), la 22ª edizione dei Mondiali ha fatto (ri)emergere una serie di realtà scomode, una su tutte quella delle morti bianche di lavoratori emigranti sottopagati (e dire che, pure mentre andavano in scena i lavori per le “notti tragiche” di Italia ’90, si fecero registrare 24 morti e 678 feriti). Secondo un’inchiesta del Guardian, tra il 2011 e il 2020, almeno 6500 operai provenienti da India, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka e Nepal sono morti in Qatar durante i lavori per problemi cardiovascolari, infortuni sul lavoro o anche suicidi. Grandi media (beIN Sport), grandi magazzini (Harrods, El Corte Inglés), grandi marchi (Tiffany & Co., Volkswagen, Brookfield), grandi incassi (21 miliardi di entrate, +45% per Qatar Airways nel 2022/23), grandi finanziamenti a organizzazioni fondamentaliste (come al-Nusra, la sezione siriana di al-Qaeda, per mano della banca nazionale) e grandi investimenti (PSG e appunto Messi) per un piccolo Paese: tutto fa brodo nel calderone dello sportswashing, la prassi necessaria a ripulire la propria immagine (già visto in Germania e Argentina durante le dittature), ma anche per aumentare la propria percezione a livello globale; pur di evitare di rimanere schiacciato da una potenza militare come l’Arabia Saudita (come accadde al Kuwait con l’Iraq negli Anni ’90), il Qatar ha investito militarmente in Francia e, oltre a sentirsi meno vulnerabile, può persino permettersi di fare da mediatore tra USA e Cina.

Messi (in)consapevole ambasciatore Mondiale – Diego, a difesa del sud

A marzo, prima del congresso a Kigali, in Ruanda (e prima di essere rieletto come presidente della Fifa per altri quattro anni), Gianni Infantino ha ufficializzato il Mondiale a 48 squadre e 104 partite in Stati Uniti, Canada e Messico (e ognuno, anche in questo caso, ha i suoi “peccatucci” da espiare), preceduto da un test del Mondiale per Club allargato a 32 squadre, che si terrà un anno prima della rassegna iridata. La Liga spagnola è stata l’unica lega europea a protestare per le decisioni del massimo organo internazionale, accusandolo di noncuranza nei confronti di tutti i campionati nazionali e giudicandolo responsabile dei danni economici inflitti a ogni Paese: «La Fifa prende in considerazione solo un gruppetto di squadre e di giocatori». Parole che sicuramente avrebbero trovato il favore di Diego Armando Maradona, uno che di certo non le mandava a dire e che nel 2015 si era convinto che, sponsorizzando la candidatura del principe Ali bin al-Hussein di Giordania, sarebbe riuscito a dare «un calcio in culo a quel corrotto di Blatter». Non poteva immaginare che da lì a poco il sistema sarebbe imploso, portando però a quello che vediamo oggi. El Diez era un leader cosciente, che sposò consapevolmente le cause del sud del mondo: Boca Juniors, Barcellona, Napoli e Siviglia furono scelte coerenti ma in controtendenza rispetto allo status quo di quei precisi momenti storici. Come dice Boris Sollazzo, autore di Diegopolitik, «Messi è più Michael Jordan: guarda prima al denaro e alla convenienza personale e non ha una coscienza politica che invece Maradona ha avuto sin da subito, anche se all’inizio era più istintiva perché il padre non gli avrebbe mai perdonato di giocare per il River Plate. Il Boca fa una colletta per prenderlo perché è una società fondamentalmente povera tanto che lo rivende perché non riesce a finire di pagarlo.

Messi (in)consapevole ambasciatore Mondiale
Foto by Mark Leech/Offside/Getty Images

Il Barcellona dove va non è una squadra molto vincente ed è avvolta da questo nazionalismo di sinistra, più simile a quello che lui aveva vissuto in patria. Proprio perché vorrebbe sfruttare questa sua volontà di andare in una squadra del Sud, prova a prenderlo persino Sibilia dell’Avellino. Nel ’94 non verrebbe mai squalificato in modo irregolare se non se la fosse presa con la Fifa per le condizioni nelle quali fa giocare i calciatori in America, proprio come aveva fatto in Messico nel 1986. Rifiuta la proposta di Kissinger di fare da testimonial a USA ’94, proposta da 100 milioni di dollari che poi accetterà Pelè, pur di non prendere il passaporto statunitense. Se gli avessero messo addosso il bisht, il mantello arabo, non credo che l’avrebbe buttato per terra, ma piuttosto se lo sarebbe tolto e l’avrebbe dato all’ultimo dei suoi compagni». L’anti-marketing per eccellenza che da morto peraltro è riuscito a ottenere un condono fiscale e che ha pure innescato un’involontaria polemica sui suoi diritti d’immagine, portando il Napoli a dover rimuovere la sua effigie stilizzata dalle maglie. Tutto in contrasto con il personaggio che, di certo, non avrebbe gradito la contesa delle vesti tra soldati sul Golgota. Lui che elogiò il Tata Brown e Ciro Ferrara, personaggi poco incensati dei trionfi di Argentina e Napoli, e che prese sempre le parti dei vari Fidel Castro, Hugo Chávez, Evo Morales e Nicolás Maduro.

Messi (in)consapevole ambasciatore Mondiale – Leo, a supporto del nord

Messi in Florida trova i fenicotteri dell’Inter Miami, ma anche una metropoli bollente dove vivono milioni di emigranti latini che fatturano perlopiù in nero e magari fanno la spola da un negozio all’altro per immergersi nell’aria condizionata degli store. Per strada si parla spagnolo e si ha la sensazione di trovarsi in un vero “porto franco”, dove tutto è possibile sia nel bene che nel male. Leo, ad esempio, oltre ai 54 milioni di dollari all’anno di contratto (ovvero +50 rispetto all’ex Toro Josef Martinez, il secondo più pagato della rosa), guadagnerà una percentuale anche sulla vendita degli abbonamenti dell’MLS Pass su Apple TV (che nel frattempo sta pure ultimando un documentario sul mondiale vincente dell’Argentina) e un’altra sulle vendite di Adidas che sponsorizza il campionato americano, Messi stesso, il presidente e patron David Beckham e…la Fifa. Proprio come l’ex Spice Boy, inoltre, Leo, a fine carriera, avrà la possibilità di acquistare anche una franchigia dell’MLS. «Ci abbiamo messo tre anni per portarlo in America – ha svelato Jorge Mas – David [Beckham] parlava con lui solo di campo per non distrarlo dal calcio giocato. Ma anche il contratto con la Apple è stato decisivo per chiudere l’affare». Sul sito dell’Inter Miami, i biglietti per il possibile esordio di Messi, venerdì 21 luglio, contro il Cruz Azul sono in rivendita a prezzi che oscillano tra 250 e 650 dollari (senza considerare i 10.000 per un posto a ridosso di tunnel e panchine).

Messi (in)consapevole ambasciatore Mondiale
Foto LaPresse

Messi, peraltro, ha da poco fondato la holding Play Time Sports-Tech e possiede sei hotel di lusso della catena alberghiera MIM a Cadice, Ibiza, Baqueira, Sitges, Maiorca e Andorra. Come se non bastasse, Leo ultimamente ha firmato un triennale con l’Ente del Turismo dell’Arabia Saudita per 22,5 milioni di euro all’anno a patto di visitare il Paese, pubblicare storie e post sul suo feed di Instagram e, soprattutto, non dire o mostrare niente che possa ledere la reputazione di un luogo che è già sotto la lente d’ingrandimento per le ripetute violazioni dei diritti umani. E tra tutte queste cifre da capogiro, che hanno davvero poco di romantico, in tanti sperano che alla fine arrivi la “catarsi” dell’eroe e che torni a sciacquare i panni nel Río de la Plata. I fan più innamorati di lui (e del calcio), infatti, sostengono che Messi dovrebbe chiudere la carriera al Newell’s Old Boys, la squadra per cui tifa e che l’ha cresciuto, e visto che, paradossalmente, non ha mai giocato nel campionato argentino. Avete idea di dove potrebbe giocarsi il Mondiale del 2030? Leo sicuramente sì…

(foto copertina LaPresse)

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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