Che vita fanno le guardie penitenziarie americane?

Essere un agente penitenziario in USA mette a dura prova la salute mentale e fisica

Dato che la violenza è sempre tracciabile, risalire alle cause del perché si manifesta è una forma di libertà che tutti possiamo esercitare. Da bambini si gioca(va) a guardia e ladri: scopo del gioco è capire che guardie e ladri sono nemici. In America esiste un terzo nemico, l’opinione pubblica, che da tempo condanna le guardie per adottare metodi troppo violenti contro i detenuti: un rapporto del 2015 di Human Rights Watch ha denunciato gli abusi fisici delle guardie penitenziarie sui prigionieri con gravi patologie mentali.

Stress e difficoltà fisiche, le persone sono in difficoltà
In America è meglio essere prigionieri che guardie penitenziarie? – ilMillimetro.it

Diversamente, agenti della polizia e militari godono di una buona reputazione tra gli americani. Gli operatori penitenziari sembrano i disgraziati della giustizia, quelli per i quali ci si indigna. L’indignazione scontorna le sagome fino a ritagliarle fuori dal carcere: così sembra che la gente si scordi dove, queste guardie, trascorrano fino alle 16 ore di lavoro al giorno.

Che vita fanno le guardie penitenziarie americane? – In molti tentano di suicidarsi

Dopo diversi studi e sondaggi svolti nel primo decennio del 2000, la condizione degli operatori penitenziari in America ha finalmente disegnato un piano di azione che, almeno a San Quentin – il carcere più antico della California, nella baia di San Francisco -, diventerà missione compiuta entro il 2025. Si tratta di implementare il modello di sicurezza dinamica che risplende nelle carceri della Norvegia e che si basa su un rapporto di dialogo e fiducia tra gli agenti e i detenuti. Probabilmente in Norvegia funziona che guardie e ladri si corrono incontro. In tanti anni di inseguimenti e di ginocchia sbucciate sui sanpietrini in piazza, nessuno ha mai visto niente del genere.

In molti vengono criticati per come trattano i detenuti
Negli USA molti agenti pensano quotidianamente al suicidio – ilMillimetro.it

Nel 2003, una guardia carceraria dell’Oregon di nome Michael VanPatten ha tentato il suicidio quasi come premio ai vent’anni di servizio in cui ha assistito e vissuto giornate scandite da accoltellamenti, minacce e risse in ordine temporale sparso. Michael è solo una delle guardie americane a soffrire di disturbo da stress post traumatico; aveva finito per trattenere la tensione dentro di sé proprio come dietro le sbarre, senza parlarne neanche a sua moglie, senza scampare il divorzio. Non ho mai confessato il mio disagio né ai medici né a casa. Non potevo sembrare debole”.

Che vita fanno le guardie penitenziarie americane? – Stress fisico e mentale, molti sono depressi

Le guardie penitenziarie in America non stanno bene, né fisicamente né psicologicamente. Secondo uno studio del Connecticut, il 50% degli agenti penitenziari che hanno lavorato per almeno 15 anni in carcere hanno sofferto di obesità e il 39% di pressione alta. Spostandoci in California – non è questo il tour dell’America che uno sogna di fare nella vita-, merita attenzione un’indagine iniziata nel 2017 dall’Università della California, a Berkeley, guidata da Amy Lerman insieme al sindacato della CCPOA (California Correctional Peace Officers Association) e il suo Fondo Fiduciario dei benefici. L’obiettivo era comprendere lo stato di salute mentale degli operatori penitenziari: su un campione iniziale di 8334 agenti, almeno il 29% era stato gravemente ferito sul lavoro da un detenuto, e in generale la metà degli agenti intervistati non si sentiva affatto al sicuro.

Molte campagne sono nate a sostegno delle guardie americane
Lo stress psicologico è uno dei problemi principali – ilMillimetro.it

Come fa una guardia a cambiare idea sul fatto che un detenuto non vada punito ma educato, quando sperimenta la violenza sulla propria pelle? Sul sito del Vera Institute of Justice, organizzazione leader nella ricerca sulla giustizia penale, leggo che lo stress psicologico a cui sono sottoposti gli agenti penitenziari deriva tanto da una situazione flat, quasi statica e di noia, dove tutti i giorni sono uguali, quanto da episodi di vera e propria minaccia, dove i livelli di tensione tra guardie e detenuti sono altissimi. Considerando che in America l’iter di formazione di una guardia penitenziaria include l’utilizzo di strumenti necessari a mantenere l’ordine e il controllo, non sorprende che estremi rimedi siano usati soprattutto per la tutela personale. L’accumulo di stress purtroppo non resta in prigione ma diventa l’ergastolo della guardia, finendo per riguardare tutta la sua vita. Una vita che, rispetto al resto della popolazione americana, è molto più corta: si stima che gli operatori penitenziari vivano in media 59 anni. L’aspettativa di vita degli americani in media è di 75 anni.

Depressione, diabete, malattie cardiovascolari e ansia alzano al 39% il rischio che gli operatori penitenziari possano suicidarsi, proprio come ha provato a fare Michael VanPatten, rispetto ai lavoratori americani che svolgono una professione diversa. Il tasso di depressione rilevato da una ricerca nazionale del 2013 su 3600 guardie -citata sempre da Vera Institute of Justice -, era pari al 25% rispetto al 7% dell’intera popolazione americana.

Che vita fanno le guardie penitenziarie americane? – La Norvegia è uno spunto interessante

Il problema, oltre a essere qualitativo, è anche quantitativo: in America ci sono poche guardie. E quelle poche, logicamente, devono lavorare per tutte quelle che mancano. Si tratta di un ammontare di ore pari ad almeno 10-12 al giorno, 6/7 giorni alla settimana e con uno stipendio di neanche 20 dollari l’ora. Nello studio di Berkeley, l’80% degli agenti penitenziari ha rivendicato la necessità di un programma di formazione sulla gestione dello stress, sull’alimentazione e sull’attività fisica, ma una guardia su cinque non era convinta di come si potessero tutelare le proprie informazioni personali. Per questo, ispirarsi al modello scandinavo di sicurezza dinamica sembra una strada concreta e percorribile per il benessere mentale di tutte le guardie. Che comunque è già stata sperimentata a piccole dosi in Pennsylvania, North Dakota e proprio in Oregon, dove vive Michael.

Manca il personale e le prigioni sono sempre più piene
In America ci sono pochi agenti penitenziari – ilMillimetro.it

Per il carcere di San Quentin il progetto è più ambizioso perché mira a riformare il concetto di giustizia in tutta la California. San Quentin non più come carcere, ma come centro di formazione, istruzione e riabilitazione dei detenuti: per il progetto sono stati stanziati 20 milioni di dollari. Il problema principale della detenzione in America forse si può spiegare così: immaginate un piede (la guardia) che calcia violentemente una palla (il detenuto) fino a che non vola (scagionato), ma che poi finisce contro un muro (un altro crimine), rimbalzando all’indietro (di nuovo in carcere). Metodi ostili di controllo finiscono per incattivire i detenuti che, una volta fuori, vivono solo una libertà-lampo: in California il 45% di chi sconta la pena ne commette un’altra e il 20% degli ex detenuti torna in carcere. Accadeva anche in Norvegia, che oggi ha invece un tasso di recidiva tra i più bassi al mondo.

Che vita fanno le guardie penitenziarie americane? – Mancanza di educazione

È difficile immaginare che le guardie americane possano diventare i guru dei detenuti un po’ com’è nei fatti in Norvegia dove gli agenti lavorano perché, chi si trova in carcere, possa uscirne migliore. È come se avvenisse una sorta di crime washing senza però alcun tipo di manipolazione. Bisogna considerare che la criminalità in America è diversa e più consistente rispetto a quella norvegese, come spiega l’editorialista Anita Chabria che ha dedicato al tema due approfondimenti sul Los Angeles Times a marzo e a novembre. In Norvegia ci sono molti meno detenuti che in America, che per contro ha molti meno agenti: in California ce ne sono 21.220, per circa 94mila prigionieri. Il punto in comune riguarda la nazionalità dei detenuti, che quasi sempre non sono né americani né scandinavi.

Ignoranza e scarsa istruzione al lavoro
Alla base c’è poca educazione al lavoro – ilMillimetro.it

Tra le guardie americane che hanno avuto la possibilità di vedere dal vivo come funziona il carcere di Halden in Norvegia (dove i detenuti indossano i loro vestiti, fanno le pulizie, salotto, riparano auto e rubinetti) c’è Tiffanie Thomas: è una delle poche donne a ricoprire questo ruolo, una delle poche che già investe nei rapporti con i detenuti – ha capito che il dialogo, in termini di sicurezza, è anche una garanzia. Lei è chiaramente d’accordo con il sistema norvegese per cui, al contrario dell’America, gli agenti hanno voce in capitolo nella gestione della struttura, e mai solo nel mantenimento del controllo. Alla base di ciò c’è una sostanziale differenza formativa, un po’ come laureati e non laureati, visto che per diventare guardie penitenziarie in Norvegia, si studia. C’è un programma universitario di due anni. Ma in America le carceri sono nate con l’intento di inventariare i criminali e punirli per i reati commessi. E per ancora molti agenti americani, cambiare sembra essere l’unico lavoro forzato.

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Il prigioniero del secolo

La libertà di Assange, fondatore di WikiLeaks, è l’unica arma che abbiamo per contrastare chi sta costruendo passo dopo passo la Terza guerra mondiale. Ad affrontare il tema è Alessandro Di Battista, collaboratore de il Millimetro e tra i massimi esperti dell’argomento, oltre a essere protagonista di un fortunato tour teatrale incentrato sul giornalista australiano. Greta Cristini analizza geopoliticamente le origini dell’attentato terroristico islamista in Russia e i possibili scenari. All’interno anche L’angolo del solipsista, Vita da Cronista, Line-up, Pop Corn, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Andrea Pamparana, Alessandro De Dilectis, Simone Spoladori, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Tutt’altra politica di Paolo Di Falco. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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