Dall’Afghanistan a Gaza: spingerci a non pensare

“Con chi state, con l’unica democrazia in Medio Oriente o con i terroristi?”. È più o meno questa la sola ‘argomentazione’ o linea comunicativa che politici, giornalisti e opinionisti TV hanno scelto di adottare per tentare di disinnescare sul nascere qualsiasi tentativo di pensiero critico su quello che sta accadendo in Palestina. Il dramma è che si tratta della stessa identica puerile linea mediatico-politica adottata negli ultimi vent’anni in relazione ai principali conflitti che hanno insanguinato il mondo. All’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, il Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush dichiarò guerra al terrore. Il primo obiettivo fu l’Afghanistan. Tutti coloro che all’epoca si opposero a quell’ignobile guerra vennero denigrati. “Gli Stati Uniti sono la più grande democrazia al mondo, hanno diritto a difendersi”. Quante volte abbiamo ascoltato frasi del genere? Chi si opponeva a quell’intervento, che nulla aveva a che fare con la fantomatica esportazione della democrazia o con la tutela dei diritti umani, veniva insultato. “Vi piace la sharia”, “state dalle parte dei talebani”, “delle donne afghane non vi importa nulla”. La guerra in Afghanistan c’è stata presentata come uno scontro di civiltà: da una parte il bene assoluto, la Democrazia, dall’altra il male assoluto, i talebani. Dopo quasi vent’anni, dopo infinite stragi di civili, morti tra i soldati occidentali, dopo centinaia di attentati terroristici e migliaia di miliardi di dollari spesi, il cosiddetto ‘bene assoluto’, gli americani sono scesi a patti con i talebani. Oggi l’Afghanistan è in mano ai talebani, i quali, tra l’altro, sono in possesso di armi sofisticatissime lasciate sul campo dal blocco occidentale. Nessun politico o giornalista si è dimesso o si è scusato per quella vile narrazione. Nel 2003 gli Stati Uniti invasero l’Iraq. Solita narrazione. “Con chi state? Con la democrazia o con chi sta per usare le armi chimiche?”. La guerra in Iraq, costata la vita tra morti dirette e indirette a 600.000 persone si è basata su una vergognosa menzogna. Quella della presenza in Iraq di armi di distruzione di massa. Saddam Hussein, in passato, le aveva avute. Pare che la tecnologia per costruirle gliela fornirono Germania e Francia. Quelle armi le utilizzò per gasare la popolazione curda di Halabja. Ma quando l’esercito statunitense decise di muovere l’ennesima guerra preventiva quelle armi non c’erano. Eppure, sulla loro fantomatica presenza venne costruita la narrazione che ci ha trascinato in guerra. Nel 2011 è la volta della Libia, il nostro principale alleato nel Mediterraneo. Altra ignobile guerra mossa con la scusa dei diritti umani violati (cosa vera, sia chiaro) ma che nascondeva le solite ragioni economiche e geopolitiche. Gheddafi si stava avvicinando troppo a Cina e Russia. Gheddafi voleva creare una moneta panafricana in grado di sostituire negli anni il Franco CFA, la moneta utilizzata ancora in gran parte delle ex colonie francesi in Africa. Gheddafi avrebbe potuto informare la pubblica opinione mondiale dei milioni di euro forniti dal suo regime a Sarkozy per la campagna elettorale per le presidenziali. Anche allora chi ha osato opporsi è stato segregato, vilipeso, bullizzato mediaticamente. “Allora ti piace Gheddafi?”. Argomentazioni patetiche. 

Dall'Afghanistan a Gaza: spingerci a non pensare
Foto LaPresse

Dall’Afghanistan a Gaza: spingerci a non pensare – La musica non è cambiata

Due anni fa la Russia ha invaso l’Ucraina. Come ci è stata descritta quella guerra? Come l’ennesimo scontro di civiltà. Da una parte il bene, il blocco occidentale, la democrazia, Zelensky al quale evidentemente si perdona tutto, anche l’essersi circondato di neonazisti, dall’altra il nuovo Hitler, quel Putin pronto a invadere la Polonia“C’è un aggressore e un aggredito”. Questo ripetevano a pappagallo orde di sepolcri imbiancati senza etica, senza coraggio e senza cervello. Chiunque osasse mettere in dubbio la strategia occidentale veniva trattato da collaborazionista del Cremlino. Il Corriere della Sera pubblicava la lista dei ‘Putiniani d’Italia’. L’obiettivo era uno e soltanto uno. Soffocare il dissenso, criminalizzare il pensiero critico. Spingere centinaia di giovani giornalisti, all’inizio delle loro carriere, a scegliere il silenzio. Unico modo, evidentemente, per farsi strada in una professione sempre più corrotta eticamente. Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea ha ripetuto decine di volte che in Ucraina l’obiettivo era la sconfitta militare della Russia. Mario Draghi, ex presidente del Consiglio, nonché ex presidente della BCE (le malelingue lo vedono in corsa per diventare prossimo segretario generale della NATO), si è addirittura spinto oltre: “Kiev deve vincere o sarà la fine dell’Unione Europea”. Oltre lo scontro di civiltà. Oltre la luce contro il regno delle tenebre. Oltre il bene contro il male. Per Draghi la vittoria dell’Ucraina era (e immagino lo sia ancora) il solo modo per l’UE di salvarsi. Ebbene, la guerra in Ucraina, una questione di vita o di morte per dirla alla Draghi, è sparita dai radar del mainstream. Eppure, per mesi, politici e giornalisti o, meglio, sicari della libertà di informazione, hanno provato a dividere la pubblica opinione, “o con noi o contro di noi”. Oggi, che la controffensiva ucraina è palesemente fallita, non si parla più di Ucraina. E questo anche prima delle tragedie in Palestina.  Nelle ultime drammatiche ore lo schema si ripete. Coloro che non hanno speso una parola negli ultimi vent’anni sul lager di Gaza – sulla “prigione più grande al mondo” come la chiama Ilan Pappé, coraggiosissimo storico israeliano –, coloro che hanno preferito restare in silenzio davanti all’apartheid israeliano a danno della popolazione palestinese, coloro che non osano utilizzare l’assioma ‘invaso/invasore’ se ad occupare territori non loro sono gli israeliani, oggi pretendono di dividere i loro interlocutori tra fautori della democrazia o amici di Hamas. “Con chi state? Con Israele, l’occidente, la democrazia o con i tagliagole?”. Questi giochetti dopo i fallimenti in Afghanistan, in Iraq, in Libia e con un negoziato sempre più vicino in Ucraina non funzionano più. Sono terrorizzato per quel che potrà accadere nelle prossime ore in Medio Oriente. Mi pare davvero strano che gli Stati Uniti abbiano portato così tanti soldati nel Mediterraneo. Non credo che siano necessari i Marines per invadere Gaza, una terra martoriata dove, come nei mattatoi, l’odore del sangue secco ricorda ogni istante, ai vivi, l’imminenza della morte. Temo un allargamento del conflitto. E temo che l’obiettivo del blocco occidentale (o di una parte di esso) sia colpire/indebolire gli alleati della Russia in Medio Oriente. Dunque, Iran (legati ad Hezbollah in Libano) e Siria. Se questo dovesse avvenire, preparatevi. I soliti ipocriti diranno “ma state con il regime islamico o con i valori dell’occidente?”, “state con Assad o con la democrazia?”, “gli USA stanno difendendo i nostri valori e voi fate i pacifisti?”. D’altronde il sonno della ragione genera mostri. E i mostri democratici non sono meno mostruosi degli altri. 

(foto copertina LaPresse)

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Nativi indesiderati

Nell’ultimo decennio il Venezuela ha vissuto una metamorfosi sostanziale: nel mezzo le vite di chi fugge, chi torna e chi non se n’è mai andato. Ad affrontare il tema è Martina Martelloni, collaboratrice de il Millimetro, che direttamente sul posto ha raccontato la situazione degli indigeni, anche attraverso un eccezionale reportage fotografico. Alessandro Di Battista analizza le contraddizioni del “libero e democratico” Occidente nel rapportarsi con le operazioni militari di Israele, le sanzioni che colpiscono solo la Russia e le solite immagini che i TG nazionali nascondono. All’interno L’angolo del solipsista, Tutt’altra politica, Line-up, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Paolo Di Falco, Alessandro De Dilectis, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Ultima fila di Marta Zelioli. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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