La Polonia precoce, donne unite e divise

Conosco Kate a Londra, è mia compagna di stanza per due settimane. Puoi dormire sopra? No problem. Mentre si arrampica alla scaletta del letto a castello, vorrei che i suoi figli guardassero come sale e scende veloce. I figli di Kate sono gli auricolari con il filo, che sistema nelle orecchie ogni volta che riceve una chiamata da Varsavia. Ti mancheranno? No problem. Stavolta la sua risposta è una lezione. La libertà di Kate deride ogni requisito, madre o donna non sono premesse, non sono regole, la sua indipendenza svezza anche me che non sono sua figlia. Il suo insegnamento è che lei fa tutto e intanto ha le cuffie al collo. Kate non parla mai in prima persona, dice sempre we, sempre us, e di conseguenza quando si rivolge a me con you non capisco mai se intende tu o voi. Usa il plurale in un modo che non è sacrosanto, è politico, e che presto mi diventa rituale. Capisco sia il segno di come si è donne in Polonia. Kate è una livellatrice, racconta che nel suo Paese ci sono conservatrici irreprensibili e femministe ultramoderne, fa sembrare la Polonia una grande matassa da cui le ultime cercano di disfarsi e le prime di continuare a cucire. Kate non dice che cosa è giusto fare, è solo un modo per garantirmi che le donne fanno, che ci sono. E se c’è battito, la Polonia diventa un polso. L’ovvietà con cui Kate fa tutto da sola è troppo facile, si vede che è patrimoniale, lei è ricca perché è libera. Cerca ovunque la nazione, le strade inglesi un cassetto in cui rovista, bypassa la sua lingua ma non il fervore. Siamo due donne in una città che non è la loro. Mi guarda: no problem. La sua intraprendenza è dovuta al fatto che sa di avere le spalle coperte dalla storia. Non è solo una conquista personale, è un discorso più ampio, è una libertà ereditata. Nel suo passo svelto c’è il 1918, l’anno in cui le donne polacche ottengono il diritto di voto; nelle sue preghiere la Matka Polka, la madre polacca, la nazione. Kate è famiglia, fede e patria. Kate cuce.

La Polonia precoce, donne unite e divise

La Polonia precoce, donne unite e divise – Esistere durante e dopo le guerre, ricostruire e ricostruirsi

La presenza delle donne in Polonia è stata precoce. La storia sembra averle convalidate, cacciate di casa e riversate per strada: dopo la Seconda Guerra Mondiale c’è stata una nazione intera da ricostruire. Alcune hanno dovuto metterci più forza, come nonna Irena che ha ricostruito la sua famiglia: il nonno di Kate è morto calpestando una mina a Częstochowa il giorno della Liberazione. A spalleggiare Irena è sua sorella Marysia, che avvisa il marito che la loro famiglia si allarga. Così, la madre di Kate cresce con due donne laboriose e forti, intraprendenti e dolci, uno zio e un cugino adottato. Eppure Irena va avanti con la sua indipendenza, non vuole aiuti, mantiene i figli con le sue forze anche quando la mamma di Kate potrebbe accedere a una borsa di studio sociale dopo la perdita del padre. Nella famiglia di Kate le donne sono sempre state gonna e pantaloni, la bisnonna gestiva un laboratorio di sartoria di circa 20 dipendenti, confezionava abiti bellissimi ed eleganti. A cena la sua famiglia discute di politica e di storia, mi dice che sua madre faceva parte del Solidarnósć, il sindacato polacco anticomunista fondato da Lech Walęsa, Premio Nobel per la Pace (1983). Anche Kate da ragazza partecipa a quelle conversazioni, anche a Londra discutiamo prima di andare a dormire. Non andiamo mai a dormire. Le donne che nascono vicine alle rivolte hanno il movente per fare le loro, e poi di depositarle nello Stato. I cambiamenti innescati dalle donne in Polonia non sono mai stati l’intenzione di rifare tutto da capo. Kate mi racconta di Maria Skłodowska-Curie, la prima donna a ricevere il Nobel, per la fisica nel 1903, con gli studi sulle radiazioni, e per la chimica nel 1911, con la scoperta del polonio. Era nata quattro anni dopo la Rivolta di gennaio del ’63. È di nuovo una storia di forza, di sorelle che si spalleggiano, lei e Brnonisława che si promettono l’un l’altra di studiare, per un periodo Marie Curie lavora come governante in una tenuta. Da Kate capisco quanto sia viscerale in Polonia il rapporto tra le donne e lo studio: è un godimento, mobilitazione, possibilità di rispondere. Durante l’annessione fino al 1918 e nel corso della Seconda Guerra Mondiale, in Polonia ci sono state molte università segrete. Si studiava al riparo dalle repressioni russe, Marie Curie frequenta l’Università volante di Varsavia, dove hanno studiato altre donne che hanno innescato un cambiamento, come Bronisława Dłuska, la prima ginecologa polacca. Per gioco, quella era chiamata l’università femminile. Nel 1891 Marie Curie studia matematica e fisica alla Sorbona, e dopo la morte del marito torna a insegnarvi, sarà la prima. Questa donna non ha mai brevettato la sua invenzione, ha preferito la ricchezza della Polonia alla sua, finanziare il Radium Institute di Varsavia, fare la rivoluzione del suo Paese. È morta a seguito delle radiazioni provocate dal suo lungo lavoro: ecco perché è stata reattiva.

La Polonia precoce, donne unite e divise

La Polonia precoce, donne unite e divise – La condizione delle donne dal comunismo a oggi, tra evoluzioni e resistenze

In Polonia il periodo comunista è quello che ancora oggi rimbomba, si riapre e si rimargina, è una cicatrice che respira. Dal lavoro all’istruzione, in quegli anni le donne sembrano avere le stesse opportunità degli uomini: dal ’46 all’89, la condizione lavorativa delle donne polacche è stata migliore rispetto a quella di altri Paesi occidentali democratici, con congedi di maternità fino a 3 anni. Oggi la Polonia è il Paese con il gender pay gap più basso di tutta l’Europa, l’economia è cresciuta, la ricchezza aumentata, si dice che entro il 2030 la Polonia potrà superare il Regno Unito in termini di PIL pro capite. Il settore terziario è quello che vede le donne più occupate. Mentre scrivo apprendo la notizia che l’americana Claudia Goldin ha vinto il Nobel per l’economia per i suoi studi sul gender gap e sulla condizione della donna nel mercato del lavoro. La Goldin è stata la prima donna a insegnare Economia a Harvard. L’ultimo decennio comunista è stato pregno di religione, in Polonia la religione è politica. Che sia un Paese cattolico persino l’Inghilterra me lo fa notare, qui dove il polacco è la seconda lingua più parlata dopo l’inglese. Corro fino a Devonia Road e scopro la prima chiesa polacca sorta a Londra, dico a Kate che ho trovato The Church of Our Lady of Częstochowa dietro casa nostra, perché so che la religione è sua alleata. Ma la religione non è mai solo conforto, è anche comportamento, e per questo a volte i diritti delle donne sembrano cattiva condotta, come quello all’aborto. Nel 2016 le donne polacche hanno manifestato per la Wolna Polka, la donna libera di abortire, e libera di farlo nel suo Paese. Anche di recente, le piazze sono piene. Veramente sono trent’anni che si protesta, i primi inasprimenti sulla questione dell’aborto risalgono al 1993 quando al governo c’era la premier Hanna Suchocka, antiabortista. La Polonia ha già visto tre donne guidare il governo. Il diritto all’aborto è una ribellione che non fanno diventare acerba, si aspettano i frutti, si portano in grembo i diritti, si lotta per un giusto diritto ad avere paura. Oggi il mito della Matka Polka è rifiutato dai movimenti laici femministi perché da una parte sembra incarnare una visione ancora patriarcale della donna, dall’altra la volontà cattolica. Ma le donne in Polonia sono un’unica testa dura. E nonostante la diversità di ideali, nonostante i vissuti, nonostante Kate, tra di loro sembra esserci un patto di non interruzione, un accordo di una clausola sola, la presenza. È un patto di consistenza. In Polonia nessuna donna annulla l’altra, nessuna donna ignora, anche se non condivide. Se conosco Kate, conosco tutte. E so che sono tutte instancabili.

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Nativi indesiderati

Nell’ultimo decennio il Venezuela ha vissuto una metamorfosi sostanziale: nel mezzo le vite di chi fugge, chi torna e chi non se n’è mai andato. Ad affrontare il tema è Martina Martelloni, collaboratrice de il Millimetro, che direttamente sul posto ha raccontato la situazione degli indigeni, anche attraverso un eccezionale reportage fotografico. Alessandro Di Battista analizza le contraddizioni del “libero e democratico” Occidente nel rapportarsi con le operazioni militari di Israele, le sanzioni che colpiscono solo la Russia e le solite immagini che i TG nazionali nascondono. All’interno L’angolo del solipsista, Tutt’altra politica, Line-up, Un Podcast per capello e Nel mondo dei libri, le consuete rubriche di Giacomo Ciarrapico, Paolo Di Falco, Alessandro De Dilectis, Riccardo Cotumaccio e Cesare Paris. Si aggiunge inoltre Ultima fila di Marta Zelioli. Copertina a cura de “I Buoni Motivi”.

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